Activity of Hericium
Nerve growth factor-inducing activity of Hericium erinaceus in 1321N1 human astrocytoma cells.
Mori K, Obara Y, Hirota M, Azumi Y, Kinugasa S, Inatomi S, Nakahata N.
Source:
Department of Cellular Signaling, Graduate School of Pharmaceutical Sciences, Tohoku University, Aramaki, Aoba-ku, Sendai, Japan.
Abstract
Neurotrophic factors are essential to maintain and organize neurons functionally; thereby neurotrophic factor-like substances or their inducers are expected to be applied to the treatment of neurodegenerative diseases such as Alzheimer’s disease. In the present study, we firstly examined the effects of ethanol extracts of four edible mushrooms, Hericium erinaceus (Yamabushitake), Pleurotus eryngii (Eringi), Grifola frondosa (Maitake), and Agaricus blazei (Himematsutake), on nerve growth factor (NGF) gene expression in 1321N1 human astrocytoma cells. Among the four mushroom extracts, only H. erinaceus extract promoted NGF mRNA expression in a concentration-dependent manner. In addition, secretion of NGF protein from 1321N1 cells was enhanced by H. erinaceus extracts, and the conditioned medium of 1321N1 cells incubated with H. erinaceus extract enhanced the neurite outgrowth of PC12 cells. However, hericenones C, D and E, constituents of H. erinaceus, failed to promote NGF gene expression in 1321N1 cells. The enhancement of NGF gene expression by H. erinaceus extracts was inhibited by the c-jun N-terminal kinase (JNK) inhibitor SP600125. In addition, H. erinaceus extracts induced phosphorylation of JNK and its downstream substrate c-Jun, and increased c-fos expression, suggesting that H. erinaceus promotes NGF gene expression via JNK signaling. Furthermore we examined the efficacy of H. erinaceus in vivo. ddY mice given feed containing 5% H. erinaceus dry powder for 7 d showed an increase in the level of NGF mRNA expression in the hippocampus. In conclusion, H. erinaceus contains active compounds that stimulate NGF synthesis via activation of the JNK pathway; these compounds are not hericenones.
Tumori dell’infanzia: triste record mondiale dell’Italia
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento
Il problema delle polveri sottili in eccesso nell’aria non riguarda più soltanto i grandi centri urbani. Sono 44 le città italiane con più di 35 giorni l’anno di superamento delle soglie di concentrazione nell’aria di PM10, ozono e altre molecole generate dalla combustione di derivati del petrolio. In testa alla classifica delle città più inquinate ci sono Torino, 118 giorni, poi Milano, 103 e Verona (98). Gli effetti di questi dati si riscontrano in molti studi, particolarmente rilevanti sono i danni subiti dai bambini. Secondo l’Oms, organizzazione mondiale della sanità, l’Italia è il paese al mondo con la maggior incidenza di tumori dell’infanzia, con 175 casi all’anno per milione di abitanti tra 0 e 14 anni. Seguono gli Stati Uniti con 158, Germania con 141 e Francia con 138. La distanza dell’Italia dagli altri paesi, già notevole, è destinata a crescere perché siamo anche la nazione in cui l’incremento è più intenso.
Spiega Franco Scicchitano, presidente della Commissione ambiente dell’ordine nazionale dei biologi: «Centomila sostanze di sintesi potenzialmente cancerogene sono registrate nella sola EU, ma i composti immessi dall’uomo nell’ambiente si contano a milioni. Sconosciuti gli effetti sulla salute per quasi tutti. Manca la ricerca sugli effetti cocktail delle sostanze. Ancora, gli attuali test sulla tossicità raramente includono le funzioni neurocomportamentali. Ed è proprio su questo aspetto che sta emergendo un ulteriore problema causato dall´inquinamento ambientale, la pandemia silente di disturbi mentali infantili».
«Ad esempio – conclude Scicchitano – per alcune forme di autismo e di ritardo mentale è ben chiara la relazione con l´esposizione fetale e nella prima infanzia ad alcuni composti chimici industriali dispersi nell’ambiente. Ma la ricerca scientifica sta anche dimostrando che il mercurio, a bassi livelli di esposizione, può avere effetti sub-clinici, ma tangibili, come una diminuita intelligenza, deficit di attenzione, di coordinazione motoria e aumentata aggressività, con problemi a scuola e diminuita produttività economica da adulti».
Avere sempre fame può essere colpa dei batteri
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento
Il dipartimento di patologia della Emory university di Atlanta ha pubblicato uno studio su Science per dimostrare che l’obesità può derivare dalla flora intestinale. I batteri del tratto enterico influenzano la velocità del nostro metabolismo, pesano complessivamente 1 kg e superano le 1000 specie diverse, come ha dimostrato una ricerca cinese pubblicata su Nature. Lo studio di Atlanta ha dimostrato che una cura a base di antibiotici fa perdere peso ai topi in cui l’obesità è stata indotta artificialmente. Dalla minore o maggiore abbondanza dei due ceppi di batteri prevalenti nell’intestino Bacteroides e Firmicutes, sembra derivare la tendenza all’obesità.
«Ricerche come questa ci costringono a guardare i batteri sotto una nuova luce – commenta Ercole Concia, professore di malattie infettive dell’università di Verona – condizionano il nostro organismo agendo su recettori implicati nei processi infiammatori, resistenza all’insulina, aumento dell’appetito, sovrappeso, ma anche nella risposta immunitaria».
Perché ritorna il grasso perduto
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento
Joseph Proietto, ricercatore australiano, ha appena pubblicato una ricerca sul New England Journal of Medicine, nel tentativo di spiegare perché, subito dopo una dieta, si riprendono i chili persi. Lo studio ha molti limiti, perché è stato condotto su poche persone e i risultati devono essere confermati, ma ha il merito di suggerire un nuovo modo di guardare alla dieta e ai suoi risultati.
La grelina, l’ormone dell’appetito prodotto dallo stomaco, aumenta del 20% dopo una dieta. Un altro ormone, il peptite YY, capace di sopprimere l’appetito, invece si riduce. Lo stesso vale per la leptina, la sostanza ormonale che sopprime l’appetito e aumenta il metabolismo. Il risultato è che si tende a mangiare di più.
Questi cambiamenti, secondo il ricercatore australiano, spiegano molti fallimenti del trattamento dell’obesità e dimostrano come le vecchie regole, di mangiare meno e fare più attività fisica, non siano sufficienti per chi vuole uscire dalla “trappola del grasso”. Bisogna cercare altrove le soluzioni che permettano di mantenere il peso acquisito.
La genetica spiega perché certe persone aumentano di peso, a parità di calorie assunte, rispetto ad altre (a tutt’oggi sono stati identificati almeno 32 variazioni genetiche legate al peso), ma giustifica anche il fallimento delle diete. Uno studio condotto alla Columbia University di New York da Rudolph Leibel e Michael Rosenbaum dimostra che le fibre muscolari di chi è a dieta bruciano meno calorie di chi ha lo stesso peso, ma non è a dieta.
a ricerca si concentra sulla vitamina D
Materiale editoriale – Descrizione e modalità di aggiornamento
La ricerca rivela tante nuove funzioni vitali per la vitamina D, sostanza sempre più simile a un ormone. Secondo Francesca Bottaccioli, presidente onorario della società di Psiconeuroendocrinoimmunologia, è stato dimostrato che la vitamina D stimola la sintesi della tirosina idrossilasi e di fattori di crescita nervosa come il NGF e le neurotrofine. La D ha quindi un effetto trofico sul tessuto nervoso. Non sembra perciò un caso che in malati di Parkinson si riscontri spesso un deficit di vitamina D. Così come è sempre più documentata una relazione inversa tra livelli di vitamina D e depressione.
Esiste anche una relazione tra vitamina D e sclerosi multipla, a cui è stato dedicato tutto un numero del Journal of Neurological Sciences, organo della Federazione mondiale di neurologia, aperto dalla lettura che Kelly Claire Simon, Kassandra L. Munger e Alberto Ascherio della Harvard University hanno tenuto alla Charcot Foundation. I tre scienziati scrivono che «la supplementazione con vitamina D potrebbe avere un eccezionale impatto sulla diffusione della sclerosi multipla».
A cento anni di distanza dagli studi del Premio Nobel Niels Finsen, per i suoi studi sull´efficacia della fototerapia nella cura della tubercolosi cutanea, la ricerca sta svelando i meccanismi con cui il sole e la luce sono terapeutici. La vitamina D induce i macrofagi a produrre catelicidina, un antibiotico naturale efficace contro il Mycobacterium tuberculosis.
Rispondi