Al CAV oltre 4.000 segnalazioni in 4 anni, 433 quelle per i casi pediatrici. Il più piccolo aveva 9 mesi, per un ragazzo di 13 anni l’unica salvezza è stato il trapianto di fegato. Con l’autunno sopraggiunto ci si ritrova a fare i conti con una delle emergenze stagionali più temute: l’avvelenamento da funghi; un pericolo da non sottovalutare per cui il Centro Antiveleni di Milano riceve centinaia di richieste d’intervento ogni anno. Dal 2009 al 30 settembre 2014 agli specialisti del centro sono giunte 4.215 richieste di consulenza, molte delle quali hanno riguardato dei bambini. Con i funghi non si scherza e così anche una fiaba può essere una carta su cui puntare per fare prevenzione. “Le manifestazioni cliniche sono a volte sfumate e sfuggono al controllo medico perché scambiate dal paziente, ma a volte anche dal medico curante, per sindromi gastroenteriche simil-influenzali- spiega Franca Davanzo, Direttore del Centro Antiveleni di Milano-. Ma nella nostra casistica la maggior parte delle richieste di consulenza è giunta dal Pronto Soccorso e questo già evidenzia la gravità dei sintomi manifestati”. I BAMBINI E GLI INTERVENTI Dal 2009 a fine Settembre 2014 il CAV ha fornito consulenza per 433 bambini, il più piccolo dei quali aveva 9 mesi di età. Mettendo sotto la lente la casistica, emerge come il ruolo degli adulti sia cruciale per arginare il fenomeno: è importante tenere sott’occhio le azioni del bambino, che può ingerire i funghi che trova negli spazi di gioco all’aria aperta, ed è altrettanto fondamentale rivolgersi ad un micologo esperto per far controllare quanto raccolto prima di cucinarlo. “Nel 25% dei casi, i bambini avevano ingerito funghi ritrovati in giardino o in spazi verdi simili- illustra Davanzo- nel 14% si tratta invece di ingestione di funghi controllati con manifestazione di sintomi dopo l’ingestione; nel 61% i sintomi sono stati, invece, provocati dall’ingestione di funghi raccolti e consumati con gli adulti senza il preventivo controllo micologico. A questo gruppo appartengono 11 bambini, il più piccolo dell’età di 3 anni, che hanno mangiato funghi contenenti amatossine (Amanita phalloides, Amanita verna, Lepiota brunneoincarnata). Per questo sono stati sottoposti a terapia intensiva con iperidratazione, oltre alla lavanda gastrica e al trattamento con carbone attivato a dosi ripetute. Per un bimbo di 13 anni l’unica possibilità di salvezza è stato un trapianto di fegato in tempi rapidissimi”. LA FIABA La valutazione di questi dati e il significativo incremento dei casi di intossicazione nella fascia pediatrica da 0 a 14 anni (soprattutto dal 2009 al 2012), ha portato all’ideazione di una fiaba per l’educazione dei più piccoli e dei loro genitori, pensata e realizzata dagli stessi specialisti del CAV-Milano. Nel racconto sono presenti tutti gli attori della vita reale. Re Baldassarre è il consumatore di funghi giudizioso che si preoccupa della commestibilità dei funghi raccolti; la Principessa Cloe rappresenta il raccoglitore occasionale che si affida ad amici o conoscenti per il riconoscimento dei funghi raccolti; Saltellino è la persona più pericolosa, superficiale e incompetente, pensa di conoscere i funghi solo perché li ha sempre raccolti. Infine c’è il Guardaboschi, il micologo esperto, grazie al cui intervento si arriva a un lieto fine.
Avvelenamento da funghi
Oltre alle specie fungine commestibili, nei boschi crescono anche funghi non commestibili, tossici, velenosi e velenosi mortali. Ogni anno si registrano in Italia circa 40.000 casi di intossicazione da funghi e almeno una decina di decessi. Le forme di intossicazione dovute all’assunzione di funghi, possono essere di svariata natura a seconda della specie fungina consumata, con quadri clinici molto variabili. Le intossicazioni generate da funghi potenzialmente mortali provocano danni d’organo irreversibili al fegato, nel caso di funghi appartenenti al genere Amanita e Lepiota, ed ai reni nel caso del genere Cortinarius. Inoltre, vi sono innumerevoli altre specie tossiche che, se da un lato non mettono a repentaglio la vita del paziente, sono comunque responsabili di intossicazioni i cui sintomi possono coinvolgere il tratto gastro-intestinale fino a complicazioni a carico del sistema nervoso centrale. Non è infrequente il caso in cui, funghi definiti commestibili provochino intossicazioni qualora per questi ultimi non siano state osservate le opportune cautele in fase di preparazione e cottura. L’unico modo per stabilire la commestibilità di un fungo è quello di determinarne la specie. I metodi empirici non hanno alcun fondamento scientifico, è opportuno chiarire in forma definitiva che i luoghi comuni quali prove con aglio, monete d’argento, prezzemolo ecc sono da assolutamente da sfatare poiché non hanno nessuna validità. Mescolarli al cibo degli animali domestici, oltre ad essere criminale, è inutile poiché la risposta all’esposizione a tossine potrebbe essere differente rispetto a quella dell’uomo e, nel caso di funghi del genere Cortinarius i sintomi possono comparire molti giorni dopo il consumo (fino a 20), ben oltre il normale tempo di attesa per una presunta comparsa di sintomi. Il Micologo è la figura istituzionale che presta servizio negli Ispettorati Micologici istituiti presso le Aziende Sanitarie Locali, preposta al riconoscimento delle specie fungine al fine di stabilirne la loro commestibilità. Il riconoscimento di un fungo richiede conoscenze botaniche che solo un Micologo possiede. I raccoglitori sono invitati a sottoporre a visita preventiva il proprio raccolto anziché avventurarsi in un incauto consumo di funghi non controllati. La visita funghi è un servizio completamente GRATUITO, al termine del quale viene rilasciato un certificato ufficiale ove sono indicati i nomi scientifici delle specie identificate, se ne attesta la loro commestibilità e si forniscono le corrette indicazioni per il consumo. Non fidarsi di esperti improvvisati o della determinazione fatta unicamente attraverso le descrizioni e/o le immagini di testi, perché con le foto possono sfuggire caratteri fondamentali per le classificazioni. Consigli per la raccolta:
• Non raccogliere indiscriminatamente tutti i funghi rinvenuti, per non devastare l’equilibrio dell’ecosistema.
• I funghi vanno raccolti interi, non recisi, poiché parti determinanti per l’individuazione di specie potrebbero rimanere nel terreno.
• È vietato ricorrere all’uso di vanghe, zappe, uncini e strumenti vari che potrebbero danneggiare lo strato umifero del sottobosco.
• I funghi vanno raccolti sani e non se in cattivo stato: ammuffiti, larvati, fradici, e comunque alterati.
• Gli esemplari che non raccolti devono essere lasciati tal quali e non distrutti, presi a calci o a bastonate.
• I funghi raccolti devono essere trasportati in contenitori rigidi ed aerati (ad es. cestini di vimini) che consentono l’ulteriore disseminazione delle spore. Inoltre, si evitano così fenomeni di compressione e di fermentazione dei funghi. Non mettere i funghi sospetti insieme ai funghi buoni: alcuni frammenti di fungo velenoso possono rimanere imbrigliati in quelli mangerecci, ciò può essere sufficiente a causare disturbi.
• Non raccogliere funghi cresciuti in aree sospette, ad es. vicino a discariche di rifiuti, cumuli di macerie, sponde di corsi d’acqua lurida, parchi e giardinetti cittadini, a ridosso di aeroporti, nei pressi di autostrade o strade ad intenso traffico veicolare, stabilimenti industriali, forni inceneritori, aree cimiteriali, centrali elettriche, frutteti e/o colture trattate con prodotti fitosanitari.
• Non regalare funghi se la loro commestibilità è incerta, perchè si incorre in gravi responsabilità. Consigli per il consumo
• La cottura, l’essicamento o altri trattamenti non servono a rendere commestibili i funghi mortali, i funghi velenosi contengono tossine termostabili che mantengono comunque la loro proprietà tossica. • Tutti i funghi commestibili vanno consumati ben cotti: quelli crudi sono scarsamente digeribili, se non addirittura velenosi.
• Il comune “chiodino” – Armillaria mellea – è tossico da crudo e deve essere necessariamente pre-bollito per almeno 15 minuti prima della successiva cottura.
• Qualora si intenda conservare i chiodini mediante congelamento si rammenta che il trattamento di prebollitura deve essere eseguito prima di procedere al congelamento. Se non eseguita le tossine esposte alle basse temperature passano da termolabili a termostabili per cui tutti i trattamenti termici eseguiti dopo il congelamento sono del tutto inefficaci alla disattivazione delle tossine.
• Evitare di far consumare funghi a bambini, donne in gravidanza o allattamento, anziani, persone che presentano intolleranza a particolari alimenti, farmaci o affette da patologie gastriche, epatiche, pancreatiche, renali, senza il consenso del medico.
• I funghi sono di difficile digeribilità: anche persone adulte e sane devono mangiarne in quantità moderata.
• I funghi ritenuti commestibili vanno mantenuti in contenitori rigidi e aerati ed in luogo fresco. Il loro periodo di conservazione è estremamente ridotto per cui il consumo, o eventuali operazioni di conservazione, vanno effettuati nel più breve possibile, preceduti da una accurata pulizia, da ripetuti lavaggi ed una adeguata cottura per almeno 30 minuti Consigli per l’acquisto
• Non acquistare mai funghi proposti da venditori improvvisati non autorizzati.
• Negli esercizi di vendita, verificare che la cassetta o il contenitore siano muniti del prescritto “cartellino” di avvenuto controllo micologico da parte degli Ispettori Micologici dell’ASL recante il nome scientifico della specie.
• Nel caso non sia presente il cartellino di controllo si consiglia di non acquistare il prodotto e di segnalare il fatto agli organi preposti al controllo degli alimenti (Tecnici della prevenzione delle ASL, NAS ecc.). Le intossicazioni da funghi L’esordio delle intossicazione da funghi ha quasi sempre origine con manifestazioni gastroenteriche, ma alcuni funghi portano a patologie più o meno gravi e potenzialmente letali se comprendono danni d’organo quali fegato e reni. La gravità dell’avvelenamento dipende dalla specie e dalla quantità di funghi ingeriti.
• Sindrome gastroenterica: la maggior parte dei funghi velenosi è responsabile di questa sindrome. I sintomi iniziano generalmente dopo 1 – 3 ore dall’ingestione e consistono in vomito, crampi addominali e diarrea. La terapia prevede lavanda gastrica, reintegrazione dei liquidi ed elettroliti persi.
• Sindrome falloidea: inizia dopo 8 – 12 ore con crampi addominali, vomito e diarrea profusa. Non vi è terapia efficace: nel giro di 24 – 48 ore si verificano danni epatici gravi e talvolta letali. Si valuta la possibilità del trapianto di fegato. Si procede con lavanda gastrica, lavaggio intestinale, diuresi forzata, si somministrano carbone vegetale e sostituti plasmatici.
• Sindrome orellanica: la lunga latenza dei sintomi, che possono manifestarsi anche oltre 15 giorni dall’ingestione, rende difficile riferire la causa al consumo di funghi, provoca danni renali irreversibili spesso è letale. È necessario ricorrere a dialisi a vita se non è possibile un trapianto di rene.
• Sindrome micoatropinica: i sintomi, di tipo neurologico, iniziano dopo alcune ore con agitazione, convulsioni, midriasi, coma, talora disturbi enterici.
• Sindrome muscarinica: è caratterizzata da salivazione intensa, lacrimazione incessante, accompagnata da nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea, difficoltà respiratorie fino a una vera crisi asmatica, riduzione della frequenza cardiaca, ipotensione, cefalea e diminuzione del diametro pupillare (miosi). Se, dopo aver consumato funghi, dovessero insorgere disturbi, si consiglia:
• recarsi immediatamente al Pronto Soccorso o all’Ospedale più vicino;
• tenere a disposizione e portare con sé gli avanzi del pasto, anche se già cotti, e di tutti i funghi rimasti disponibili, compresi quelli gettati nella pattumiera;
• non tentare terapie autonome. [Fonte: ASL Milano – Regione Lombardia]
Gli Ispettorati micologici delle AUSL della provincia di Bologna svolgono consulenza per gli ospedali, in caso di intossicazione da funghi, sin dal 1996. La finalità di questo compito, affidato dalla Legge regionale 2 aprile 1996 n. 6, è quella di favorire la diagnosi precisa e precoce delle sindromi da avvelenamento attraverso l’identificazione delle specie fungine che le hanno causate, per consentire l’avvio del miglior trattamento terapeutico nel minor tempo possibile.
Con gli anni l’attività degli Ispettorati si è sempre meglio organizzata, sia nella raccolta dei dati, utili per valutare la situazione epidemiologica territoriale, sia nell’organizzazione, che dal 2006 vede attiva, da luglio a novembre, una pronta disponibilità feriale e festiva, 24 ore su 24, per le richieste degli ospedali.
Il monitoraggio delle intossicazioni si inserisce comunque in un più ampio sistema di sorveglianza regionale.
In Tabella 1 vengono mostrati i dati di sorveglianza relativi alle intossicazioni da funghi avvenute nel periodo 2001-2012 nel territorio della provincia di Bologna e che hanno determinato ricovero ospedaliero, con conseguente attivazione degli Ispettorati micologi delle AUSL di Bologna e di Imola. Si tratta, molto probabilmente, di dati sottostimati, quantomeno per il fatto che nel passato, in diversi casi, gli ospedali non hanno fatto riferimento alle AUSL nei casi di intossicazione, gestendo autonomamente le persone malate o riferendosi direttamente ad altri soggetti competenti (ad esempio il Centro micologico dell’Agenzia regionale Prevenzione e Ambiente).
Tabella 1 – Intossicazioni da funghi in provincia di Bologna nel periodo 2001-2012
Funghi responsabili |
Numero di persone intossicate |
Numero di persone morte |
Specie velenose |
39 |
2 |
Specie tossiche senza appropriato trattamento |
10 |
0 |
Specie normalmente commestibili |
19 |
0 |
Specie non determinate |
25 |
0 |
Totale |
93 |
2 |
Una discreta parte di avvelenamenti (39) è stata dovuta, come è logico, alla consumazione di specie effettivamente tossiche; ma nella maggior parte dei casi (54), contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è stato così. Esaminiamo nel dettaglio i vari tipi di intossicazione. In Tabella 2 sono riportate le intossicazioni da funghi notoriamente velenosi comunque assunti (crudi, cotti, secchi o in qualsiasi modo preparati).
Tabella 2 – Intossicazioni da FUNGHI VELENOSI
Specie responsabile |
Numero di persone intossicate |
Numero di persone morte |
Note |
Agaricus gruppo xanthoderma |
4 |
0 |
|
Amanita phalloides |
15 |
2 |
3 persone con trapianto di fegato |
Boletus satanas |
1 |
0 |
|
Entoloma sinuatum |
14 |
0 |
|
Lepiota subincarnata |
1 |
0 |
|
Omphalotus olearius |
4 |
0 |
|
Totale |
39 |
2 |
|
Per la gravità della sindrome, in massima evidenza vi sono le quindici intossicazioni da Amanita phalloides, avvenute in sette distinti episodi. Si tratta di avvelenamenti caratterizzati da un periodo di latenza piuttosto lungo (in genere 8-12 ore), che non consente, nella maggior parte dei casi, di iniziare un trattamento terapeutico efficace in tempo utile; ciò determina spesso gravi conseguenze, che possono arrivare alla necessità di un trapianto del fegato (tre nella nostra casistica) o addirittura alla morte (noi ne abbiamo registrate due). In almeno un paio di episodi (tre persone interessate) è stato accertato che A. phalloides è stata raccolta scambiandola con russule di colore verde (spesso conosciute, nelle nostre montagne, con il nome locale di “verdoni”); in un altro caso abbiamo verificato che è stata confusa con un’amanita della sezione Vaginatae (cosiddetti “sblisgon”).
Un ulteriore caso di sindrome falloidea è stato dovuto a Lepiota subincarnata, specie assai differente da A. phalloides, le cui piccole dimensioni rendono fortunatamente più difficile il consumo di un quantitativo di funghi importante in termini di peso, anche se le tossine di tale specie sono in gran parte uguali a quelle di A. phalloides e, quindi, potentissime; il rischio di confusione con specie eduli di piccola dimensione, come ad esempio Marasmius oreades (gambesecche) deve sempre essere attentamente valutato (vedi anche le quattro intossicazioni da Lepiota di piccola taglia riportate in Tabella 5).
Diversi avvelenamenti sono stati dovuti al consumo di Entoloma sinuatum (quattordici persone colpite), che determina una sindrome a periodo di latenza ugualmente abbastanza lungo (4-6 ore) e lunga durata dei disturbi gastroenterici (fino a 2 settimane), con esito però generalmente favorevole in quanto non avviene citolisi dei parenchimi nobili (anche se in taluni casi, nella casistica internazionale, si è verificato il decesso). E’ probabile che molte intossicazioni da E. sinuatum si siano verificate per il suo scambio con Clitocybe nebularis (“prugnolo d’autunno” o “nebbiolo” o “cimballo”) in una popolazione, quella della provincia di Bologna, che tradizionalmente lo consuma ancora abbastanza frequentemente (nonostante anch’esso, in base alle attuali conoscenze, non sarebbe più da ritenersi un fungo edule) oppure con Lyophyllum conglobatum (conosciamo con sicurezza il caso di una persona che, nel passato, è incorsa per un paio di volte in questo stesso errore).
Gli Agaricus velenosi del gruppo xanthoderma vengono senz’altro consumati, spesso nell’errata convinzione che tutti gli agarici bianchi siano commestibili, molto più frequentemente di quanto indicato dalla nostra casistica (quattro intossicati), come suggerito dal rilevante numero di persone che incorre in questo errore (senza seguito clinico) recapitandoci in Ispettorato questi funghi tossici.
Omphalotus olearius (quattro casi) è stato probabilmente confuso con Cantharellus cibarius (“galletto”).
Alcune specie fungine, commestibili dopo adeguata cottura (almeno 30 minuti), sono tossiche (o quasi sempre tossiche) se consumate crude o non perfettamente cotte: così probabilmente si spiegano gli avvelenamenti determinati dalle quattro specie riportate in Tabella 3
Tabella 3 – Intossicazioni da FUNGHI TOSSICI SENZA APPROPRIATO TRATTAMENTO
Specie responsabile |
Numero di persone intossicate |
Numero di persone morte |
Note |
Armillaria mellea |
5 |
0 |
In 2 casi su 5 i funghi non erano ben cotti |
Boletus luridus |
1 |
0 |
|
Ptychoverpa bohemica |
3 |
0 |
Sempre poco cotte |
Russula olivacea |
1 |
0 |
|
Totale |
10 |
0 |
|
Il maggior numero di questi casi è dovuto alla consumazione di Armillaria mellea (“chiodini” o “famigliola buona”) e Ptychoverpa bohemica, le quali contengono sostanze termolabili (forse reali tossine) non tollerate da molte persone. Oltre a ciò, nei residui dei pasti che hanno causato le intossicazioni da A. mellea si trovano talvolta parecchi pezzetti di gambi fungini, che sarebbero invece da scartare interamente perché troppo coriacei. Non abbiamo invece informazioni sulle modalità di preparazione di Boletus luridus e Russula olivacea per i casi riportati in tabella.
Diverse intossicazioni sono state causate da funghi non contenenti, neppure allo stato crudo, sostanze notoriamente tossiche (Tabella 4). In tali intossicazioni non si ha naturalmente la certezza che la causa dei disturbi siano stati realmente i funghi, ma poiché, per certe specie, questi eventi si ripetono periodicamente, è ragionevole ritenere che sia probabile una responsabilità dei miceti, per ragioni in parte ancora non note ed in parte invece legate a fattori noti (e per alcuni aspetti di seguito descritti).
Tabella 4 – Intossicazioni da FUNGHI NORMALMENTE COMMESTIBILI
Specie responsabile |
Numero di persone intossicate |
Numero di persone morte |
Note |
Agrocybe cylindracea = Agrocybe aegerita |
1 |
0 |
|
Amanita caesarea |
1 |
0 |
|
Amanita caesarea + Boletus gruppo edulis |
2 |
0 |
In 1 caso funghi con larve e muffe |
Amanita citrina |
1 |
0 |
|
Boletus gruppo edulis |
11 |
0 |
In 5 casi i funghi erano stati mal conservati, in 1 caso consumati crudi |
Pleurotus ostreatus |
3 |
0 |
In tutti i casi consumato crudo |
Totale |
19 |
0 |
|
Tra le intossicazioni da funghi “eduli” emerge, sorprendentemente, il numero relativamente elevato di quelle causate da Boletus edulis o specie affine (B. aestivalis, B. pinophilus, B. aereus), cioè i prelibati e ben noti “porcini” (tredici persone colpite nella nostra casistica), che d’altronde sono i funghi maggiormente consumati anche nella nostra provincia, rappresentando quindi il “complesso” di specie di maggior esposizione per i consumatori. L’abitudine diffusa di consumarli crudi in insalata, per godere del bel colore bianco e della carne soda e percepire al meglio l’aroma ed il sapore, espone però il consumatore al rischio di un’intolleranza presente in talune persone nei confronti di tali specie; oltre a ciò si ritiene che gli effetti della carica microbica eventualmente presente sui funghi crudi possa essere stata la causa di alcune di queste intossicazioni. Capita altresì, analizzando il materiale che ha causato l’intossicazione, di rinvenire tra i pezzetti di porcino delle larve d’insetto (che parassitano frequentemente ed abbondantemente queste specie), che costituiscono forse una concausa in alcune intossicazioni determinate da funghi porcini anche perfettamente cotti.
Le intossicazioni da Agrocybe cilindracea (“piopparelli”) possono essere state determinate dal consumo dei gambi di queste specie, che sarebbe bene scartare in quanto coriacei e quindi difficilmente digeribili. Le tre intossicazione da Pleurotus ostreatus (“gelone”) registrate nella nostra casistica sono state dovute al consumo di funghi crudi; in un caso i funghi erano stati acquistati presso un supermercato in confezione chiusa, ove erano presentati tagliati a fettine e conditi con vari odori (da ciò si desume l’importanza che il produttore riporti in etichetta chiare e corrette indicazioni sulle modalità di consumo). Una buona parte delle intossicazioni è stata dovuta a funghi che non è stato possibile (per mancanza di reperti) determinare con esattezza, se non a livello del genere (Tabella 5).
Tabella 5 – Intossicazioni da FUNGHI NON DETERMINATI
Genere responsabile |
Numero di persone intossicate |
Numero di persone morte |
Note |
Agaricus sp. |
2 |
0 |
|
Clitocybe sp. |
1 |
0 |
|
Lepiota sp. |
4 |
0 |
Lepiota di piccola taglia |
Macrolepiota sp. |
2 |
0 |
|
Morchella sp. |
2 |
0 |
|
Ramaria sp. |
1 |
0 |
|
Russula sp. |
8 |
0 |
In 2 casi cotte in graticola |
Non identificato |
5 |
0 |
|
Totale |
25 |
0 |
|
Tra i generi elencati ve n’è qualcuno (ad es. Lepiota, Agaricus, Clitocybe e Ramaria) che comprende parecchie specie notoriamente tossiche e probabilmente ascrivibili, pertanto, alla Tabella 2); in altri casi (generi Macrolepiota, Morchella e Russula) è più probabile che i disturbi siano stati determinati da errate modalità di preparazione dei funghi, in particolare da insufficiente cottura, come indicato e discusso per le specie delle Tabelle 3 e 4.
Fonte dei dati riportati: relazioni annuali dei Dipartimenti di Sanità Pubblica.
{jcomments on}
Rispondi