La vitamina D potrebbe ridurre il rischio di malattie cardiovascolari
Le ricerche approfondiscono sempre di pi sul benessere del nostro organismo e come promuoverlo al meglio. Si conosce il ruolo della vitamina D, nel gruppo delle vitamine, come agente che aiuta il corpo ad assorbire il calcio. Una ricerca ha indicato anche un’altra propriet della vitamina D: sembrerebbe che essa possa aiutare a proteggere da condizioni come lipertensione, il cancro, losteoporosi ed infezioni. Le persone, particolarmente quelle che vivono in aree poco esposte al sole, hanno una maggiore carenza di questa vitamina. Gli autori di uno studio pubblicato nel 2008 ha suggerito che una carenza di questa vitamina D pu avere delle ripercussioni negativi sul sistema cardiovascolare. Come la vitamina D pu influire sulle funzioni del cuore? Ci sono diversi modi possibili in cui la vitamina D interagisce con la salute del cuore. Forse, a causa delle sue propriet anti-infiammatorie, la vitamina D pu ridurre l’ispessimento dei tessuti del cuore che può portare ad una insufficienza cardiaca. La vitamina D può anche equilibrare il percorso ormonale che regola la pressione del sangue, può ridurre la calcificazione nel sistema cardiovascolare. E’ noto che una carenza di vitamina D contribuisca alla formazione di osteoporosi. E’ raccomandato di prendere 400 unit giornaliere di vitamina D, da prendere dai multivitaminici. Alcuni medici invece propongono un minimo di 800 ad un massimo di 2000 unit al giorno. Ma importante che i pazienti discutano con il loro medico perch una dose troppo elevata pu diventare potenzialmente tossica e dare sintomi di nausea, vomito, poco appetito, costipazione, debolezza e perdita di peso. Alti livelli di questa vitamina possono anche aumentare il livello di calcio nel sangue, causando alterazioni del ritmo cardiaco e cambiamenti nelle stato mentale, come confusione. Quali sono le fonti della vitamina D La luce del sole una delle fonti piu importanti della vitamina D. Mentre nell’alimentazione, solo pochi alimenti sono buone fonte di vitamina D. La maggiore parte del latte, almeno negli Stati Uniti, fortificato con vitamina D ed anche aggiunto in alcuni cereali e succo darancia. Le pi ricche fonti di vitamina D sono olio di fegato, di merluzzo, il pesce come salmone, sgombro, tonno, sardine in scatola. E poi, si possono prendere supplementi, soprattutto nelle stagioni invernali. Quali gli effetti della vitamina D La vitamina D ha una serie di effetti sulle ossa e sui muscoli, pu migliorare la risposta alle infezioni e di reiterazione del cancro e adesso si intravede la possibilit che aiuti a mantenere anche sano il cuore!
Possibile legame tra carenza di vitamina D e rischio di diabete mellito
Una bassa concentrazione di vitamina D [25(OH)D] nel siero risulta associata a un aumento del rischio di sviluppare diabete insulino-dipendente in uno studio caso-controllo americano pubblicato sul numero di dicembre della rivista Diabetologia e realizzato su un gruppo di militari in servizio. Per questa ricerca, gli autori hanno utilizzato i sieri prelevati dai militari nellambito di un programma di sorveglianza sierologica del Dipartimento della Difesa tra il 2002 e il 2008, prima delleventuale diagnosi di diabete. In questi campioni hanno confrontato i livelli di 25(OH)D in 1.000 pazienti consecutivi, che hanno sviluppato il diabete mellito e 1,000 soggetti sani di controllo appaiati. I casi e i controlli erano tutti in servizio attivo al momento del prelievo di sangue iniziale. Le persone dei due gruppi sono state appaiate sulla base della data del prelievo ( 2 giorni), dellet ( 3 mesi), della durata del servizio militare ( 30 giorni), del sesso, e del fatto che il controllo fosse o meno in servizio attivo quando il caso stato diagnosticato. Pi di due terzi di tutti i partecipanti allo studio erano pi giovani di 35 anni In media, tra il prelievo di sangue e la diagnosi di diabete trascorso un anno (range 1 mese – 10 anni). Nei soggetti nel quintile pi basso dei livelli sierici di 25(OH)D livelli (<43 nmol/l) il rischio di sviluppare diabete insulino-dipendente risultato 3,5 volte maggiore rispetto a quelli nel quintile pi alto (? 100 nmol/l), mentre in quelli nel secondo quintile pi basso il rischio risultato 2,5 volte maggiore. Negli altri tre quintili, dal pi basso al pi alto (60-77, 78-99 e ? 100 nmol/l), lodds ratio risultato di rispettivamente pari a 0,8, 1,1 e 1 (p trend <0,001). Nella discussione gli autori scrivono che, sulla base dei dati ottenuti, possibile che non si abbia nessuna ulteriore riduzione del rischio se si raggiungono livelli sierici di 25(OH)D superiori a 60 nmol/l. Coloro che hanno sviluppato il diabete avevano livelli medi di 25(OH)D significativamente pi bassi rispetto ai pazienti sani di controllo (62,2 nmol/l vs 72,5 nmol/l; P ? 0,0001). I pazienti afroamericani sono quelli in cui si evidenziata una probabilit superiore di sviluppare il diabete (odds ratio 1,6 rispetto ai bianchi; IC al 95% 1,2 2,0; P < 0,001) ma l’associazione tra bassi livelli di 25(OH)D e rischio di diabete stata osservata in tutti i gruppi etnici. Dopo aver aggiustato i dati in base alletnia di appartenenza, i soggetti nel quintile pi basso di 25(OH)D hanno mostrato un rischio circa 2 volte maggiore di sviluppare il diabete rispetto a quelli nel quintile pi alto (odds ratio 1,9; IC al 95% 1,4-2,7; P < 0,0001). Come spiegano i ricercatori nellarticolo, le percentuali di diabete di tipo 1 a livello mondiale variano a seconda della latitudine, con unincidenza annuale standardizzata in base allet compresa tra valori minimi ai tropici (0,5 per 100.000 in Venezuela) e massimi in prossimit del circolo polare artico (60 per 100.000 in Finlandia). dunque possibile, suggeriscono i ricercatori, che il livello di vitamina D influisca sulla funzione immunitaria. “La carenza di vitamina D associata a importanti effetti sullimmunit innata e ci potrebbe influenzare il rischio di diabete riducendo il rischio di infezione delle cellule beta pancreatiche” scrivono gli autori. Tra i possibili limiti dello studio vi la possibilit che un piccolo numero di pazienti possa avere avuto in realt un diabete di tipo 2 complicato. Tra i punti di forza vi sono, invece, il fatto che i sieri siano stati prelevati prima della diagnosi di diabete (a differenza di quanto fatto in altri studi analoghi) e lampia dimensione del campione. Anche se i risultati sono interessanti, nelle conclusioni gli autori invitano comunque i colleghi ad andarci piano con la prescrizione di dosi elevate di vitamina D. E.D. Gorham, et al. Lower prediagnostic serum 25-hydroxyvitamin D concentration is associated with higher risk of insulin-requiring diabetes: a nested casecontrol study. Diabetologia (2012) 55:32243227. Doi: 10.1007/s00125-012-2709-8. http://www.diabetologia-journal.org/files/Gorham_et_al.pdf
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