Genziana

Genziana

 

Genziana

Che cos’è

Le genziane sono un gruppo di piante erbacee annuali o perenni della famiglia delle Genzianacee.

Sono diffuse nell’arco alpino e sugli Appennini nella varietà comune, dai fiori blu e nella varietà maggiore, con fiori gialli e alta fino a un metro.

Si può trovare nei climi alpini di tutti i continenti e viene utilizzata e coltivata per il suo sapore amaro, ma non tossico, per la preparazione di numerosi liquori o digestivi.

Attualmente la raccolta spontanea è regolamentata in molte regioni perché si tratta di specie protetta.

Le attività

Dalla radice si ricavano sostanze amarissime come i glucosidi amari e la genziopicrina che agiscono sulla digestione e sulla produzione di muco gastrico.

Ha effetto leggermente antisettico e tradizionalmente veniva utilizzata anche come lassativo, febbrifugo e disinfettante per la cute.

Aumenta la quantità di succo gastrico poiché influenza la secrezione di cloro e peptine da parte dello stomaco e la motilità del tubo digerente.

L’azione si sviluppa a seguito della stimolazione dei recettori del gusto, nella bocca e con la stimolazione della produzione di saliva.

È comunque una pianta poco studiata, e non ci sono lavori scientifici che ne dimostrino le proprietà.

La raccolta spontanea è sconsigliata a chi non è esperto perché può essere confusa con piante tossiche.

Perché si usa

La genziana viene utilizzata in caso di cattiva digestione dovuta a pasti abbondanti o ricchi di grassi, perchè stimola la produzione dei succhi gastrici e come amaro tonico.

Viene utilizzata in molti liquori amari assunti in genere come digestivi a fine pasto e in numerosi preparati farmaceutici per stimolare la funzione intestinale.

Nella tradizione erboristica, la genziana, oltre che come digestivo e tonico stimolante dell’intestino viene utilizzata come febbrifugo e come cicatrizzante per le ferite.

Come si usa

Generalmente si utilizza la radice essicata in infusione o l’estratto secco, la tintura madre o l’estratto idroalcolico.

Si assume prima dei pasti per alcuni giorni di seguito oppure, occasionalmente, dopo un pasto abbondante che si fa fatica a smailtire.

Controindicazioni e effetti indesiderati

L’utilizzo può provocare un aggravamento dei sintomi in chi soffre di ulcere o disturbi gastrointestinali.

Interazioni L’effetto di leggero antinfiammatorio può sovrapporsi a quello deifarmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

Hypoglycaemic activity of Gentiana olivieri and isolation of the active constituent through bioassay-directed fractionation techniques.

Sezik E, Aslan M, Yesilada E, Ito S.

Source

Gazi University, Faculty of Pharmacy, Etiler 06330 Ankara, Turkey.

Abstract

Hypoglycemic effect of Gentiana olivieri Griseb. (Gentianaceae) flowering herbs on oral administration were studied using in vivo models in normal, glucose-hyperglycemic and streptozotocin-induced diabetic rats. Through in vivo bioassay-guided fractionation processes isoorientin, a known C-glycosylflavone, was isolated from the ethylacetate fraction by silica gel column chromatography as the main active ingredient from the plant. Isoorientin exhibited significant hypoglycemic and antihyperlipidemic effects at 15 mg/kg b.w.dose. Isoorientin concentration of the extracts and fractions were determined by HPLC in order to establish a correlation between the hypoglycaemic activity.

PMID:

15642593

[PubMed – indexed for MEDLINE]{jcomments on}

 

Dieta Macrobiotica e Tè Verde

DIETA MACROBIOTICA  e  TE’  VERDE

Diabete in equilibrio con lo yin e lo yang?

 

15 NOVEMBRE 2012

Per combattere il diabete, una fra le malattie croniche più preoccupanti, e in più rapida espansione, si sa da tempo che l’alimentazione è fondamentale, sia per il contenimento del peso corporeo che per il tasso glicemico nel sangue, responsabile del nostro fabbisogno di insulina. Un’alimentazione consapevole e bilanciataconsente non solo di prevenire l’insorgere della malattia, ma anche, in alcuni casi, di costituire una cura efficace permettendo la sospensione dei farmaci, in particolare rispetto al diabete di tipo 2, quello tipico della maturità. Vanno in questa direzione i risultati clinici presentati a Madrid il 14 novembre nel corso del settimo World Congress on the prevention of diabetes and its complications e ottenuti all’interno del primo progetto Diabete Ma-Pi Italia, sui quali ha già riferito in aprile alla Sapienza di Roma Francesco Fallucca, docente di endocrinologia per lo stesso ateneo e presidente del Centro internazionale studi sul diabete.

In soli 21 giorni di dieta Ma-Pi 2, è stato infatti rilevato, i pazienti diabetici di tipo 2 coinvolti nella sperimentazione hanno visto rientrare tutti i parametri ematochimici nella normalità potendo sospendere l’assunzione di farmaci. Alla base di questi risultati ragguardevoli le teorie e la sperimentazione di Mario Pianesi, il padre della macrobiotica italiana, una filosofia e una pratica di vita molto più e prima che uno strumento di cura. Di cosa si tratta?

Vivere macrobiotico, secondo l’accezione che ne danno i suoi sostenitori, significa mantenere in costante equilibrio lo yin e yang, le due forze antagoniste e complementari che governano l’universo nel taoismo e nel confucianesimo, le filosofie dell’antichità classica cinese. Vivere, perché il macrobiotico non è solo una scelta culinaria, ma un vero e proprio stile di vita. Il termine nasce nel 1700 con l’igienista tedesco Gregor von Hufeland; la disciplina come noi la conosciamo è stata però elaborata e resa popolare nel ’900 dal giapponese Nyoiti Sakurazawa, meglio conosciuto con il suo pseudonimo di Georges Ohsawa, che si ispirò alle regole alimentari dei monaci buddisti. La macrobiotica si basa sull’assunto che il cibo che si consuma si suddivide in due gruppi Yin (acido: frutta, tè, etc.) e Yang (alcalino: sale, carne, pesce, etc.), e ci sono poi dei cibi “bilanciati” quali i cereali, i legumi e i semi oleosi. L’equilibrio nel cibo tra questi due principi, e la loro assunzione controllata manterrebbe in equilibrio e salute l’uomo.

Un importante contributo allo sviluppo di questa disciplina è stato dato in Italia da Mario Pianesi, che ha fondato, nel 1980 l’associazione “Un Punto Macrobiotico” ed elaborato nel tempo alcune diete tipo (diete Ma-Pi). Una sperimentazione partita negli anni Settanta, con la coltivazione diretta di cereali, verdure e legumi senza l’uso di additivi chimici, e proseguita con la messa a punto di regimi alimentari rispettosi di equilibri tra ying e yang e con la promozione presso agricoltori locali del recupero di colture dimenticate e di sementi antiche non ibride in grado di autoriprodursi. In poco più di trent’anni questa realtà associativa e la proposta che porta avanti si sono diffuse nel mondo; non solo con ristoranti dove i cereali integrali in chicchi la fanno da padroni e il latte e i suoi derivati sono banditi, ma anche con negozi, mense, forni, case editrici, sale da tè, laboratori di abbigliamento, calzature, vernici, arredamento (tutto, si intende, rigorosamente naturale e vegetale).

L’aura è molto romantica e da un lato evoca storie come quella del kamut (così battezzato nel Montana dove lo ritengono antichissimo, Il grano del faraone Tut,e più o meno venerato come lui per la redditività che permette ai suoi coltivatori) o dei frutti dimenticati dell’“orto” nato da un’idea di Tonino Guerra a Pennabilli – neo Romagna dopo il referendum del 2006 – dove sono risorte svariate specie di mele, pere selvatiche, bacche e frutti di bosco che la moderna agricoltura aveva allontanato anche dalla memoria: l’azzeruolo, la pera cotogna, il biricoccolo. Dall’altro, suscita polemiche e dibattiti complessi, ad esempio, sulle coltivazioni erbacee e il controllo delle infestanti, per tacere di quelle sugli ogm o sull’uso talvolta improvvido del suffisso “bio”.

Al di là delle riflessioni necessarie – e potenzialmente interminabili – sul grande potenziale socio-economico  delle coltivazioni biologiche e biodinamiche come della macrobiotica e dei temi ad essa legati, resta il fatto oggettivo, oltre che della salubrità di certe abitudini alimentari che affondano le radici nel buonsenso di tradizioni e territori, del riconoscimento mondiale al contributo che le diete pianesiane (le cinque diete Ma-Pi), a partire dalla provincia marchigiana, hanno portato nel trattamento di alcune malattie croniche, e in particolare proprio il diabete.

Per Pianesi, promotore anche dell’Etichetta trasparente, un accurato sistema di certificazione dei prodotti alimentari che rispetto alla certificazione bio dà conto anche del tipo di semina, crescita, concimazione, raccolto della pianta da cui essi derivano, gli onori in patria arrivano dopo anni di diffidenze, e dopo diversi importanti apprezzamenti dall’estero, come quelli di Tara Gandhi, nipote del Mahatma e sua “erede spirituale”, del mondo arabo e dall’America latina. Qui, per esempio, l’Accademia delle scienze di Cuba gli ha riconosciuto il merito di aver modificato le abitudini alimentari e di vita di milioni di persone in cinque continenti “attuando da più di quarant’anni quello che le Nazioni Unite e i capi di Stato del Pianeta hanno iniziato ad auspicare appena un mese fa all’incontro internazionale a New York sulle malattie croniche che stanno annientando l’umanità”. Assieme alla soddisfazione per avere studiato un metodo efficace di cura capace di aiutare molti malati, un risultato non da poco. E ottenuto con un biblico piatto di lenticchie (più cereali, verdure e dolce semplice).

S.V.

Il tè verde abbassa la glicemia?

Un estratto di tè verde può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare il diabete in pazienti con la glicemia al limite

· NOTIZIE CORRELATE

Uno studio sui benefici effetti del tè verde non poteva che arrivare dal Paese del Sol levante: e proprio un ricercatore dell’università di Shizuoka, in Giappone, racconta sull’’European Journal of Clinical Nutrition che un estratto di questa tipica bevanda orientale sarebbe in grado di ridurre l’emoglobina glicata in pazienti con la glicemia elevata.

RIDUZIONE – Il dottor Fukino ha coinvolto 60 volontari con una glicemia borderline, a rischio di sviluppare un vero e proprio diabete; a metà di loro ha dato un placebo, all’altra metà ha somministrato tutti i giorni per due mesi un estratto di tè verde in cui erano presenti 544 milligrammi di polifenoli (456 milligrammi di catechine). Al termine dei due mesi ha «incrociato» i gruppi, così da sottoporre al trattamento anche gli altri partecipanti. All’inizio dello studio, dopo i primi due mesi e alla fine dei quattro mesi Fukino ha misurato diversi parametri, accorgendosi che il tè verde aveva ridotto l’emoglobina glicata e la pressione dei soggetti trattati. «Fukino aveva già presentato risultati simili nel 2005», ricorda Paolo Cavallo Perin, presidente della Società Italiana di Diabetologia. «Il meccanismo protettivo sarebbe merito delle proprietà antiossidanti dei polifenoli, che aiuterebbero a ridurre la glicemia. Bisogna notare, però, che stando ai risultati appena usciti l’effetto sull’emoglobina glicata è limitato: scende di meno di mezzo punto, da 6.2  a 5.8. Non si butta via niente, certo, però è un risultato inferiore a ciò che si otterrebbe con una dieta adeguata». Sottolinea la scarsa significatività anche Andrea Ghiselli, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, che aggiunge: «Peraltro a guardare bene i dati non sembra che ci sia un controllo dell’alimentazione dei partecipanti: difficile trarre conclusioni solide. La sensazione è che si tratti dello sforzo di “vendere” un proprio prodotto tipico: noi scopriamo sempre nuovi pregi del vino, in Giappone magnificano le doti del tè verde».

 

SUPPLEMENTI – «Dobbiamo poi tracciare la differenza che c’è fra introdurre gli antiossidanti con l’alimentazione quotidiana o attraverso supplementi», aggiunge Cavallo Perin. «Qualche tempo fa, ad esempio, lo studio su grande scala HOPE dimostrò che la vitamina E a dosaggio farmacologico, assunta perciò come integratore, non riduce gli eventi cardiovascolari. E il problema è proprio questo: i supplementi a base di antiossidanti hanno dato spesso buoni risultati nel ridurre di volta in volta glicemia, pressione, colesterolo, ma hanno finora sempre fallito nel ridurre ciò che davvero ci interessa, ovvero il rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari. Se non riescono in questo, però, gli integratori finiscono per essere solo “cosmetici”: rendono più belli gli esami, ma non guariscono i pazienti né modificano il loro destino». Diverso è appunto il discorso se è l’alimentazione, sana ed equilibrata, a fornire le giuste dosi di antiossidanti. «In pazienti borderline come quelli studiati dal ricercatore nipponico, ad esempio, dieta e attività fisica prevengono la comparsa del diabete», dice il diabetologo. «Certo, i risultati ottenuti con l’estratto di tè verde non sono disprezzabili e di certo non dobbiamo scoraggiare il consumo di questa bevanda, ma allo stesso modo non avrebbe senso consigliare alla gente di berne in quantità o di assumerne l’estratto per prevenire il diabete», conclude Cavallo Perin.

{jcomments on}

Coprinus comatus e diabete mellito

Coprinus comatus e diabete mellito 

Il Coprinus comatus,fungo edule che cresce spontaneamente nei prati anche alle nostre latitudini, è uno dei funghi medicinali più apprezzati da secoli e studiati in estremo oriente, proprio per le sue proprietà terapeutiche contro il diabete. Il primo dei tre pdf qui sotto è una scheda riassuntiva sintetica ma efficace sugli studi riguardanti il rapporto coprinus-diabete, in particolare è importante lo studio del cinese Han del 2006 (2° pdf) che mette in rapporto la presenza nel fungo di Vanadio con l’azione antidiabetica di riattivazione(insieme alla componente polisaccaridica vedi 3° pdf – Ding 2012) delle cellule B di Langherans del pancreas che producono insulina.

Dott Maurizio Bagnato MD

1°Articolo2°Articolo3°Articolo

Albatrellus ovinus

Albatrellus ovinus (Schaeff. ex Fr.) Kotl. & Pouz

Tassonomia
Regno Fungi
Divisione Basidiomycota
Classe Basidiomycetes
Sottoclasse Holobasidiomycetidae
Ordine Russulales
Famiglia Albatrellaceae
Genere Albatrellus
Sottogenere Albatrellus S.F.Gray 1821

Nome italiano
Fungo del pane.

Nome inglese
Sheep polypore.

Sinonimi
Albatrellus albidus (Pers.) ex S.F.Gray 1821
Polyporus carinthiacus (Pers.) ex Roques 1832
Polyporus luteolus (Beck.) Velen. 1922
Polyporus limonius Velen. 1922
Polyporus lutescens Velen. 1922
Scutiger ovinus (Schaeff.) Murril 1920

Cappello
Diametro 6-15 cm, 1-3,5 cm di spessore, quasi circolare, convesso o spianato, a volte depresso al centro, margini a lobi ondulati, sottili e spesso macchiati di giallo. Superficie glabra, sovente si presenta screpolato al centro del cappello con una fessurazione a tasselli quadrati; colore da bianco a crema ma a volte con macchie brune, giallo-limone o verdastre in età avanzata. Imenoforo con tubuli corti 1-5 mm, pori rotondi o angolosi in numero 2-4 per mm, decorrenti sul gambo, da bianchi a crema nel fungo fresco, tendenti al giallastro al tocco.

Gambo
Centrale o eccentrico, bianco-brunastro, tomentoso e rugoso, generalmente corto, fino a 8 cm, normalmente libero anche su esemplari concresciuti; diametro 1-4 cm, leggermente clavato alla base ma attenuato al piede.

Carne
Bianca, poi giallastra, soda e di facile frattura. Odore e sapore gradevole, fungino.

Habitat
Terricolo, in boschi di conifere in montagna, simbionte dell’Abete rosso, spesso numeroso negli ambienti di crescita; in estate-autunno.

Commestibilità e tossicità
Discreto commestibile solo quando è giovane e fresco, coriaceo e non digeribile da adulto.

Reazioni chimiche
Reazione rossastro-bruna all’idrato di potassio (KOH).

Microscopia
Spore bianche in massa, elissoidi a parete sottile (4-5 × 3-4,5 µm) non amiloidi; Basidi 20-25 × 4-5 µm; ife 2-8 µm di diametro, rigonfie fino a 16 µm, senza giunti a fibbia.

Osservazioni
Più adatto alla conservazione sott’olio o sott’aceto.

Somiglianze e varietà
Altre specie simili oltre al già citato Albatrellus confluens sono Albatrellus subrubescens, considerato tossico e causa di sindrome gastrointestinale, simbionte di Pino silvestre e con gambo di colore aranciato alla base mentre tende a macchiarsi di giallo-verde nell’A. ovinus che è simbionte di Abete rosso. Albatrellus cristatus ha gambo più verdastro e carne coriacea e come il precedente può causare disturbi gastrointestinali. Infine una specie simile èOsteina obducta, facilmente differenziabile in quanto più minuta, con aspetto fascicolato, crescita lignicola e consistenza legnosa a maturità.

Curiosità
I funghi del Genere Albatrellus che hanno interesse alimentare, Albatrelus ovinus e Albatrellus confluens, sono prevalentemente reperibili in ambiente prealpino ed alpino. Fanno la loro apparizione nelle zone più umide, buie e fresche del sottobosco, spesso nei siti di rinvenimento occupano interi pendii montani. In Trentino sono una presenza costante del panorama micologico locale e rivestono particolare interesse come funghi da destinare alla conservazione sott’olio, per tale motivo vengono ricercati con particolare attenzione. Gli Albatrellus tra i cosiddetti funghi boletoidi e cioè con imenoforo a pori e tubuli, si differenziano bene perché i tubuli sono talmente corti da far pensare quasi ad una loro assenza, in sostanza i pori potrebbero essere interpretati come delle cavità, delle piccole introflessioni a cratere del derma. I pori nel fungo giovane sono talmente minuti da non essere visibili ad occhio nudo.

Scheda AMINT tratta da Tutto Funghi

Foto e Descrizioni
Regione Lombardia, Agosto 2008, foto di Massimo Biraghi.

Albatrellus ovinus e M. di Parkinson

 

Albatrellus ovinus e M. di Parkinson

Albatrellus ovinus e Parkinson

Quest’umile fungo prediletto dalle pecore(ovinus) e buono come il pane ( per questo è anche detto fungo del pane) , è il protagonista di un brevetto farmaceutico ( molecola Scutigeral) che da quasi 10 anni attende di essere prodotto dalle case farmaceutiche contro il M. di Parkinson. La molecola appartiene ai trifenil fenoli ed agisce sui recettori vanilloidi (una classe di recettori che agiscono nel cervello insieme a quelli della L-Dopa) per produrre Dopamina (la cui scarsa produzione è il motivo del M. di P.), cosa a cui concorre anche la capsaicina del peperoncino (che però è più irritante). Presenterò l’articolo di Szallasi e coll dell’Università del Maryland che ha dato il via alla ricerca sul metabolita dell’Albatrellus attraverso la valutazione della stimolazione neuronale dei recettori vanilloidi della corda neurale dei ratti. Credo di fare cosa gradita allegando due pdf il primo è una bellissima Rewiew farmacologica su tali recettori sempre di Szallasi, il secondo è un libro scritto da una neurologa italiana la Dott.ssa Luciana Baroni che ha lavorato per 30 anni con i malati di Parkinson e parla del ruolo fondamentale nella cura del malato parkinsoniano dell’alimentazione vegetariana. L’ultimo è un pdf questa volta su una pianta : la Mucuna pruriens di cui si dice un gran bene contro il Parkinson.

1°Articolo ; 2°Articolo3°Articolo

Leggi tutto