VITAMINA D, MALATTIE CARDIOVASCOLARI e DIABETE

La vitamina D potrebbe ridurre il rischio di malattie cardiovascolari


Le ricerche approfondiscono sempre di pi sul benessere del nostro organismo e come promuoverlo al meglio. Si conosce il ruolo della vitamina D, nel gruppo delle vitamine, come agente che aiuta il corpo ad assorbire il calcio. Una ricerca ha indicato anche un’altra propriet della vitamina D: sembrerebbe che essa possa aiutare a proteggere da condizioni come lipertensione, il cancro, losteoporosi ed infezioni. Le persone, particolarmente quelle che vivono in aree poco esposte al sole, hanno una maggiore carenza di questa vitamina. Gli autori di uno studio pubblicato nel 2008 ha suggerito che una carenza di questa vitamina D pu avere delle ripercussioni negativi sul sistema cardiovascolare. Come la vitamina D pu influire sulle funzioni del cuore? Ci sono diversi modi possibili in cui la vitamina D interagisce con la salute del cuore. Forse, a causa delle sue propriet anti-infiammatorie, la vitamina D pu ridurre l’ispessimento dei tessuti del cuore che può portare ad una insufficienza cardiaca. La vitamina D può anche equilibrare il percorso ormonale che regola la pressione del sangue, può ridurre la calcificazione nel sistema cardiovascolare. E’ noto che una carenza di vitamina D contribuisca alla formazione di osteoporosi. Leggi tutto

VITAMINA D E CANCRO

Il miracolo della vitamina D: che c di vero?


di MARTIN MITTELSTAEDT – 12 marzo 2008 – Traduzione per Disinformazione.it a cura di Stefano Pravato Nellestate del 1974 ai fratelli Garland, Frank e Cedric, venne lidea eretica. I giovani epidemiologi stavano partecipando a una conferenza sui tassi di mortalit per cancro, contea per contea, negli Stati Uniti. Seduti nellaula dellUniversit Johns Hopkins di Baltimora, mentre osservavano le carte geografiche colorate a seconda dei casi di cancro, notarono una suddivisione evidente, maggiormente pronunciata per il cancro al colon. Le contee con i tassi pi elevati erano in rosso; quelle con tassi bassi erano blu. Stranamente, la nazione era divisa in due quasi perfettamente, rosso al nord e blu al sud. Perch, si chiesero, il rischio di morire di cancro era maggiore nel bucolico Maine piuttosto che nella maggiormente inquinata California del Sud? I due giunsero al Johns Hopkins qualche giorno dopo, guidando la propria Mustang da casa loro a San Diego. Frank stava per cominciare gli studi universitari e Cedric il suo primo impiego come professore. Era luglio e il viaggio attraverso lassolato Sud forn loro un idea mentre stavano studiando le carte geografiche del cancro: lesposizione al sole cambia drasticamente a seconda della latitudine. Poteva forse questo spiegare le differenze dei tassi di cancro? La loro ipotesi, sviluppata meticolosamente e pubblicata sei anni dopo nellInternational Journal of Epidemiology, era che la luce solare avesse un potente effetto anti-cancro dovuto al suo ruolo nella produzione di vitamina D nella pelle esposta al sole. Quelli che vivono a latitudini settentrionali, teorizzarono, ricevono meno radiazione solare e producono meno vitamina, fatto che determina laumento del rischio di morire di cancro.Leggi tutto

VITAMINA D2 VS D3

Uno studio dellUniversit di Boston ha mostrato che la vitamina D2 altrettanto efficace della vitamina D3

Vitamina D2 efficace come vitamina D3 nel mantenere concentrazioni circolanti di 25-idrossivitamina D.


Holick MF , Biancuzzo RM , TC Chen , EK Klein , giovane A , Bibuld D , Reitz R , W Salameh , Ameri A , Tannenbaum AD . CONTESTO: Due relazioni hanno indicato che la vitamina D2 meno efficace della vitamina D3 nel mantenere lo stato della vitamina D. OBIETTIVO: Il nostro obiettivo stato quello di determinare se la vitamina D2 meno efficace della vitamina D3 nel mantenere livelli sierici di 25-idrossivitamina D o aumentato catabolismo di 25-idrossivitamina D3.Leggi tutto

Funghi per la digestione


L’intestino, con la sua notevole area di contatto con i prodotti della digestione (circa 300 metri quadrati di superficie), rappresenta uno tra i più importanti organi del corpo; svolge infatti importanti funzioni digestive, promuove l’assorbimento dei nutrienti e collabora con reni, pelle e polmoni nei processi di eliminazione dei rifiuti organici e delle tossine.

Gli ultimi tratti dell’intestino, il colon (o intestino crasso) e il retto, sono certamente la parte più importante perché in tale sede, grazie agli enzimi ed alla flora batterica, termina la digestione e vengono assorbite molte sostanze importanti: l’acqua, gli aminoacidi (i costituenti delle proteine) e parecchi dei prodotti medicinali eventualmente usati.

Ma affinché l’intestino possa funzionare correttamente occorrono due requisiti fondamentali:
– che la flora batterica presente sia attiva e qualitativamente adeguata per completare la digestione,
-che le pareti intestinali siano sufficientemente pulite per consentire un corretto assorbimento dei nutrienti.

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Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

novembre 26, 2013 in Articoli di Giornali, Studi Scientifici | Tags: intolleranza, Lactase Persistance,lattasi, latte, latticini

Ci sono un chimico, un paleogenetista e un bioarcheologo… No, non è l’inizio di una barzelletta dall’aria poco divertente, ma l’idea, semplice quanto innovativa, che sta alla base del progetto LeCHE (Lactase Persistence in the early Cultural History of Europe). Nato nel 2009 per rispondere ad alcune delle questioni aperte nell’evoluzione culturale umana, questo progetto sfrutta le diverse competenze di un team di ricercatori impegnati in varie discipline, che prese assieme hanno consentito un approccio da più direzioni per risolvere le molteplici sfaccettature dell’argomento.

Nell’articolo di resoconto del progetto apparso su Nature, troviamo conferme importanti che pongono fine anche a vecchie e sterili polemiche degli scettici.Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte. Ciò è dovuto a una mutazione comparsa in Europa circa 7500 anni fa, che ha dato origine a quello che viene definito allele LP (Lactase Persistance), condiviso oggi dalla maggior parte degli europei. In Africa Occidentale e Asia Meridionale sono poi apparse, in maniera indipendente, altre mutazioni che conferiscono ai portatori la capacità di digerire il latte. Un bell’esempio di convergenza adattativa.

Il processo biochimico alla base è semplice: (quasi) tutti i bambini possiedono un enzima, la lattasi, indispensabile per scindere il disaccaride lattosio presente nel latte materno.  Negli adulti questo gene è spento, e il costoso enzima smette di essere prodotto. O meglio, così era in tempi antichi per tutti gli esseri umani neolitici. E poi cos’è successo?  Qui interviene il progetto LeCHE: i fondatori si sono posti l’obiettivo di chiarire il ruolo del latte e del consumo di latticini nella scomparsa delle tribù di cacciatori-raccoglitori del Neolitico europeo, rimpiazzate da culture agricole. Le questioni in gioco sono molte: studiando le ossa degli animali allevati negli insediamenti mediorientali ed europei è emerso che i vitelli erano macellati prima dell’anno di età, anziché una volta raggiunto il peso massimo. Così facendo le vacche potevano essere munte per tempi più lunghi, ma la quantità di carne ottenuta dalla macellazione dei capi era minore. Ciò suggerisce che sia stata proprio la ricerca del latte vaccino ed ovino a spingere il processo di addomesticamento. Inoltre, con opportune analisi chimiche, sono state scoperte tracce di grassi del latte su cocci rinvenuti in insediamenti anatolici databili a 8500 anni fa, ben prima che la mutazione per la persistenza al lattosio facesse la sua comparsa. Le stesse analisi hanno chiarito inoltre il mistero attorno a un reperto dalla forma insolita rinvenuto in Polonia negli anni Settanta: un frammento di un recipiente in terracotta coperto di piccoli fori circolari. La scoperta di molecole grasse sulla superficie porosa della creta gli ha conferito una nuova dignità: si tratta infatti del più antico strumento per la caseificazione, utilizzato per separare la cagliata dal siero del latte.

Gli indizi raccolti dal gruppo LeCHE convergono attorno ad un unico scenario, con date e luoghi ben precisi. Alcune popolazioni anatoliche svilupparono, circa 10000 anni fa, le pratiche di agricoltura e allevamento, potendo così attingere alla risorsa latte, che avevano imparato a manipolare per renderla consumabile e facilmente trasportabile. A differenza del latte fresco, infatti, i latticini contengono concentrazioni molto inferiori, e quindi tollerabili, dello zucchero lattosio. Questa svolta segnò la nascita della caseificazione. Successivamente, muovendosi verso nord, prima in Grecia e quindi in Europa centrale, esportarono le nuove tecnologie, soppiantando le tribù autoctone di cacciatori-raccoglitori grazie alla cultura innovativa estremamente vantaggiosa. Questo dato è confermato da analisi molecolari su DNA antico sia umano che bovino. Circa 7500 anni fa comparve infine l’allele LP, il quale, provocando la persistenza dell’enzima lattasi anche in età adulta, fornì un enorme vantaggio selettivo ai portatori: si stima infatti che la prole di costoro godette di un aumento di fertilità del 19%. Seguendo l’onda migratoria verso nord, l’allele LP sbarcò quindi in Scandinavia e nelle Isole Britanniche, regioni in cui oggi il 90% della popolazione tollera il lattosio. Probabilmente il successo straordinario che la persistenza della lattasi ha incontrato a nord è dovuto al fatto che, in regioni fredde, i prodotti caseari si conservavano meglio e più a lungo, costituendo un’ottima protezione contro carestie, raccolti sfortunati e annate climaticamente avverse.

Si chiarisce dunque il quadro attorno a una delle molte prove degli adattamenti a cui è andato incontro Homo sapiens in epoca recente. Le tecniche oggi a disposizione permettono una precisione di analisi senza precedenti. Possiamo infatti osservare direttamente le tracce della selezione naturale in atto: il succedersi degli eventi può essere collocato in un luogo geografico e in un tempo accurati, figurando così uno scenario storico sempre più circoscritto di come lo scrutinio della selezione naturale ha modificato la nostra specie in tempi non troppo remoti. Ancor più interessante è la particolare forma di coevoluzione genetico-culturale che ha visto protagonisti la comparsa della persistenza della lattasi e la produzione di latticini. La mutazione che ha generato l’allele LP ha potuto diffondersi solo grazie al vantaggio che forniva ai portatori, e a sua volta l’unico modo attraverso cui questo processo poteva manifestarsi era che i fortunati avessero a portata riserve di latte fresco. Un cambiamento culturale ha generato una pressione selettiva e ha causato un’evoluzione biologica per selezione naturale. Una volta comparso l’allele, il consumo di latte e derivati trovò la strada spianata verso gli intestini dei Neolitici. Un’ultima menzione merita l’approccio utilizzato; la buona riuscita del progetto multidisciplinare schiude una linea guida per dirigere nuove analisi su altri adattamenti recenti inH. sapiens, come la capacità di digerire l’amido del grano o di assimilare l’alcool. Un brindisi dunque al lavoro del progetto LeCHE, ovviamente con un buon bicchiere di latte!

Sebastiano De Bona

Riferimenti:

Curry A., (2013). The milk revolution: when a single genetic mutation first let ancient Europeans drink milk, it set the stage for a continental upheaval, Nature 500: 20-22.

http://www.pikaia.eu/easyne2/LYT.aspx?Code=Pikaia&IDLYT=425&ST=SQL&SQL=ID_Documento%3D7116