L’estinzione di massa ha aiutato un antico fungo a prosperare

L’estinzione di massa ha aiutato un antico fungo a prosperare

[Data: 2009-10-22]

Illustrazione di questo articolo

La distruzione della foreste terrestri avvenuta 250 milioni di anni fa ha avuto un effetto catalizzatore sulla diffusione di un tipo di fungo, stando ad un nuovo studio internazionale pubblicato nella rivista Geology. I ricercatori sostengono che minuscoli organismi – i Reduviasporonites – sono emersi e hanno conosciuto una proliferazione globale in seguito alla catastrofe.

Sotto la guida dell’Imperial College London nel Regno Unito i ricercatori hanno analizzato il contenuto di carbonio e nitrogeno nei resti fossilizzati dei Reduviasporonites e li hanno classificati come “un tipo di fungo responsabile di far marcire il legno che si è stabilito all’interno di alberi morti”.

I ricercatori britannici, olandesi e americani hanno usato strumenti ad alta sensibilità – progettati in parte per individuare granelli interstellari nei meteoriti – per dare uno sguardo alla firma geochimica dei Reduviasporonites. Essi hanno confrontato i loro risultati con quelli dei funghi moderni e hanno scoperto che i Reduviasporonites e i funhi moderni presentano caratteristiche chimiche simili.

Le loro osservazioni hanno risolto i dubbi dei ricercatori del passato: questi minuscoli organismi sono funghi o alghe? “La chimica organica, gli isotopi del carbonio e del nitrogeno, e i tassi di carbonio/nitrogeno corrispondono a quelli dell’origini fungine”, scrivono gli autori dello studio.

La loro scoperta annulla anche la teoria che fu probabilmente l’impatto di un asteroide il responsabile della distruzione della Pangea – il supercontinente che comprendeva tutta la massa terrestre esistente nel periodo Paleozoico e Mesozoico.

“Questo [fungo] era una specie propria delle catastrofi, al quale forse l’estinzione piaceva più del dovuto”, ha spiegato il professor Mark Sephton dell’Impacts and Astromaterials Research Centre presso l’Imperial College. “Esso proliferò su tutta la Terra”.

Secondo i ricercatori, i reperti fossili del Reduviasporonites mostrano catene di cellule microscopiche e sono la prova che questi organismi prosperarono durante il periodo Permiano-Triassico – considerato il disastro più grave mai accaduto sulla Terra.

Fino al 96% di tutte le specie marine e il 70% di quelle terrestri si sono estinte durante quel periodo. I dati indicano che il continente fu sommerso da lava basaltica (roccia vulcanica dura e nera formatasi dalla lava liquida) proveniente dalla zona odierna della Siberia in Russia.

I risultati dello studio indicano che la florida vegetazione della Pangea andò perduta in seguito all’estinzione di massa. I dati geologici indicano, inoltre, che la popolazione di Reduviasporonites si diffuse in tutta la Pangea durante gli ultimi stadi del periodo Permiano.

“Il nostro studio mostra che né le piante né gli animali riuscirono a sfuggire all’impatto di questa catastrofe globale”, ha detto il professor Sephton. “Sorprendentemente, le peggiori condizioni immaginabili per le specie vegetali e animali si rivelarono essere quelle ottimali per la proliferazione del fungo”.

I ricercatori ipotizzano che la lava basaltica rilasciò gas tossici che “soffocarono” l’atmosfera. Questi gas successivamente produssero piogge acide e esaurirono lo strato di ozono. Infine, la distruzione globale della foresta favorì la proliferazione di questi minuscoli organismi, che si nutrivano della vegetazione imputridita.

Il passo successivo per i ricercatori sarà quello di confrontare ulteriormente i Reduviasporonites con le loro eventuali controparti di funghi moderni. Essi sperano che il loro lavoro riuscirà ad offrire maggiori spunti sulla vita degli antichi organismi.

Per maggiori informazioni, visitare:

Geology:
http://geology.gsapubs.org/

Celiachia

25/06/2007 Celiachia: il glutine non è più un problema

Una procedura messa a punto dall’Isa-Cnr arresta, attraverso una lavorazione enzimatica delle farine, la reazione immunologica scatenata nell’intestino dei celiaci da questa proteina. Così pane, pasta e pizza possono essere consumati anche da chi soffre di questa forma di intolleranza alimentare, senza rischi per la salute

Presto le persone affette da celiachia potranno di nuovo apprezzare il gusto della pasta, della pizza e dei biscotti tradizionali senza più andare incontro ai disturbi tipici provocati da questa malattia. A renderlo possibile un’innovativa procedura enzimatica, da applicare all’industria alimentare, in grado di bloccare la risposta tossica del glutine nei celiaci. L’innovativa metodologia è stata messa a punto e brevettata da un gruppo di chimici e immunologi dell’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino, coordinato da Mauro Rossi.
“Se si osserva al microscopio la struttura dell’intestino dei celiaci si scopre che la mucosa è atrofica, ossia priva dei villi, le estroflessioni mucosali fondamentali per la digestione e l’assorbimento dei nutrienti”, spiega Mauro Rossi dell’Isa-Cnr. “Numerose evidenze sperimentali indicano che il danno intestinale è prodotto da un’alterata risposta immunitaria nei confronti del glutine. In particolare, la presenza nella mucosa intestinale di linfociti T, una popolazione di cellule del sistema immune, che risponde alla presenza del glutine secernendo molecole pro-infiammatorie, avvalora l’ipotesi di un meccanismo immunologico alla base della patologia. Solo determinate regioni della molecola di glutine acquistano però, nell’intestino del celiaco, la capacità di essere riconosciute dai linfociti T e di scatenare la loro risposta. Partendo da questa considerazione”, prosegue Rossi, “abbiamo ipotizzato la possibilità di bloccare preventivamente questo riconoscimento attraverso un processo enzimatico – da effettuare direttamente sulla farina – che andasse a modificare proprio quelle regioni, mascherandole attraverso la formazione di nuovi legami con amminoacidi (elementi costitutivi della proteina) modificati. La nostra ipotesi è stata poi confermata sperimentalmente attraverso accurati studi biochimici e immunologici realizzati nel nostro Istituto”.
Dal punto di vista tecnologico il nuovo procedimento non presenta difficoltà di realizzazione in quanto fa uso di sostanze già utilizzate nell’industria alimentare. Nessuna conseguenza neppure sui celiaci. “I nuovi legami introdotti nella molecola di glutine”, precisa il ricercatore dell’Isa-Cnr, “rimangono intatti nell’intestino, ma poi sono scissi a livello renale per cui non si accumulano nell’organismo”.
Un risultato di indubbio interesse, se si considera che la celiachia è una delle forme più diffuse di intolleranze alimentari: si stima che una persona su duecento ne sia affetta. La malattia si manifesta negli individui che hanno una predisposizione genetica in seguito all’ingestione di alimenti contenenti il glutine del grano e proteine analoghe presenti in altri cereali di uso comune, quali orzo e segale. L’intolleranza viene diagnosticata in genere nei primi tre anni di vita, ma sono in aumento i casi in cui si manifesta tardivamente o quelli in cui è del tutto asintomatica: i celiaci che non sanno di esserlo e continuano a mangiare gli alimenti proibiti possono soffrire di gravi sindromi da malassorbimento, caratterizzate principalmente da diarrea, perdita di peso e ritardo della crescita.
Attualmente l’unica terapia valida è la dieta completamente priva di glutine, da seguire per tutta la vita: solo così, infatti, vengono ripristinate le normali funzioni intestinali. Ma mantenere questo regime alimentare, che presenta comunque forti restrizioni, non è sempre facile, poiché piccole quantità di glutine possono trovarsi in cibi non sospetti.
La ricerca è stata pubblicata sulla versione on line della rivista internazionale Gastroenterology

Roma, 25 giugno 2007

La scheda

Che cosa: brevettata una nuova procedura enzimatica che blocca la risposta tossica del glutine nei celiaci
Chi: Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr di Avellino
Per informazioni: Mauro Rossi, tel. 0825/299391, e-mail: mrossi@isa.cnr.it

Ufficio Stampa Cnr: Rita Bugliosi, tel. 06/49932021, – 3383, e-mail: rita.bugliosi@cnr.it

Metalli e radioisotopi nei funghi

Possibili rischi igienico-sanitari con riferimento al contenuto di metalli pesanti e radioisotopi nei funghi

Si parla spesso della tossicità intrinseca dei funghi dovuta alle tossine in essi contenute, mentre un aspetto poco divulgato è l’inquinamento da metalli pesanti, naturale o antropico, che sempre più spesso contaminano anche la flora fungina.
Un inquinante rilasciato nell’ambiente, provoca un impatto ambientale che potenzialmente può modificare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo. La deposizione diretta dell’inquinante nel suolo o quella indiretta attraverso l’acqua delle piogge, contenente inquinanti disciolti, provoca l’inevitabile contaminazione dei vegetali e dei funghi.

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Auricularia auricola judae (mok yhee)

Caratteristiche dell’ Auricularia agricola judae :

Sporoforo: 3-9 cm, liscio, elastico, a forma di orecchietta irregolare, sessile o con piccolo gambo, bruno-rossastra o bruno-olivastra; a gruppi.
Carne: prima gelatinosa-elastica, fragile da secca; senza odore e sapore particolari.
Spore: bianche in massa.
Habitat: cresce su legno di latifoglie (specialmente di Sambuco), tutto l’anno.
Commestibilità: buon commestibile, molto ricercato in alcuni Paesi orientali.
Nella Medicina Tradizionale Cinese, l’Auricularia è stato utilizzato da migliaia di anni per il trattamento di: ipertensione, arteriosclerosi, patologie arteriose e venose, gastrite, colite emorroidi, sanguinamento uterino. In Europa è stato usato per il trattamento di: dolori addominali, crampi, azione antivirale, antibatterica ed antiparassitaria.

Auricularia auricola judae

 

Agaricus blazei Murrill

Caratteristiche dell’ Agaricus blazei Murrill :

Cappello: 5-9 cm, convesso, carnoso, con cuticola bruno chiaro più scura al contatto, da giovane margine con membrana fioccosa.
Lamelle: fitte, prima bianche poi rossastre-brune.
Gambo: 3-4 x 1,5-2 cm, corto e sodo, bianco e liscio, con anello bianco e membranoso.
Carne: soda e bianca, al taglio rosea; buon odore e sapore.
Spore: bruno-seppia; presenta basidi con due sole spore anziché quattro.
Ottima Commestibilità.
Questo fungo è originario dalla foresta pluviale brasiliana e gli indigeni lo chiamano “il fungo di Dio” perché lo hanno utilizzavano in casi di malattie gravi. Nei paesi sviluppati l’Agaricus Blazei Murril ha una storia relativamente breve, infatti solo da 35 anni è stato preso considerazione dalla Comunità Scientifica Internazionale. Per le sue straordinarie proprietà medicinali, ha cominciato ad essere studiato ed utilizzato anche in Giappone, Stati Uniti, oltre che in America Latina, mentre in Europa è ancora assai sconosciuto.

Agaricus blazei Murrill