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Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte

novembre 26, 2013 in Articoli di Giornali, Studi Scientifici | Tags: intolleranza, Lactase Persistance,lattasi, latte, latticini

Ci sono un chimico, un paleogenetista e un bioarcheologo… No, non è l’inizio di una barzelletta dall’aria poco divertente, ma l’idea, semplice quanto innovativa, che sta alla base del progetto LeCHE (Lactase Persistence in the early Cultural History of Europe). Nato nel 2009 per rispondere ad alcune delle questioni aperte nell’evoluzione culturale umana, questo progetto sfrutta le diverse competenze di un team di ricercatori impegnati in varie discipline, che prese assieme hanno consentito un approccio da più direzioni per risolvere le molteplici sfaccettature dell’argomento.

Nell’articolo di resoconto del progetto apparso su Nature, troviamo conferme importanti che pongono fine anche a vecchie e sterili polemiche degli scettici.Dell’intera popolazione umana solo il 35%, superati i 7-8 anni di età, mantiene la capacità di digerire il latte. Ciò è dovuto a una mutazione comparsa in Europa circa 7500 anni fa, che ha dato origine a quello che viene definito allele LP (Lactase Persistance), condiviso oggi dalla maggior parte degli europei. In Africa Occidentale e Asia Meridionale sono poi apparse, in maniera indipendente, altre mutazioni che conferiscono ai portatori la capacità di digerire il latte. Un bell’esempio di convergenza adattativa.

Il processo biochimico alla base è semplice: (quasi) tutti i bambini possiedono un enzima, la lattasi, indispensabile per scindere il disaccaride lattosio presente nel latte materno.  Negli adulti questo gene è spento, e il costoso enzima smette di essere prodotto. O meglio, così era in tempi antichi per tutti gli esseri umani neolitici. E poi cos’è successo?  Qui interviene il progetto LeCHE: i fondatori si sono posti l’obiettivo di chiarire il ruolo del latte e del consumo di latticini nella scomparsa delle tribù di cacciatori-raccoglitori del Neolitico europeo, rimpiazzate da culture agricole. Le questioni in gioco sono molte: studiando le ossa degli animali allevati negli insediamenti mediorientali ed europei è emerso che i vitelli erano macellati prima dell’anno di età, anziché una volta raggiunto il peso massimo. Così facendo le vacche potevano essere munte per tempi più lunghi, ma la quantità di carne ottenuta dalla macellazione dei capi era minore. Ciò suggerisce che sia stata proprio la ricerca del latte vaccino ed ovino a spingere il processo di addomesticamento. Inoltre, con opportune analisi chimiche, sono state scoperte tracce di grassi del latte su cocci rinvenuti in insediamenti anatolici databili a 8500 anni fa, ben prima che la mutazione per la persistenza al lattosio facesse la sua comparsa. Le stesse analisi hanno chiarito inoltre il mistero attorno a un reperto dalla forma insolita rinvenuto in Polonia negli anni Settanta: un frammento di un recipiente in terracotta coperto di piccoli fori circolari. La scoperta di molecole grasse sulla superficie porosa della creta gli ha conferito una nuova dignità: si tratta infatti del più antico strumento per la caseificazione, utilizzato per separare la cagliata dal siero del latte.

Gli indizi raccolti dal gruppo LeCHE convergono attorno ad un unico scenario, con date e luoghi ben precisi. Alcune popolazioni anatoliche svilupparono, circa 10000 anni fa, le pratiche di agricoltura e allevamento, potendo così attingere alla risorsa latte, che avevano imparato a manipolare per renderla consumabile e facilmente trasportabile. A differenza del latte fresco, infatti, i latticini contengono concentrazioni molto inferiori, e quindi tollerabili, dello zucchero lattosio. Questa svolta segnò la nascita della caseificazione. Successivamente, muovendosi verso nord, prima in Grecia e quindi in Europa centrale, esportarono le nuove tecnologie, soppiantando le tribù autoctone di cacciatori-raccoglitori grazie alla cultura innovativa estremamente vantaggiosa. Questo dato è confermato da analisi molecolari su DNA antico sia umano che bovino. Circa 7500 anni fa comparve infine l’allele LP, il quale, provocando la persistenza dell’enzima lattasi anche in età adulta, fornì un enorme vantaggio selettivo ai portatori: si stima infatti che la prole di costoro godette di un aumento di fertilità del 19%. Seguendo l’onda migratoria verso nord, l’allele LP sbarcò quindi in Scandinavia e nelle Isole Britanniche, regioni in cui oggi il 90% della popolazione tollera il lattosio. Probabilmente il successo straordinario che la persistenza della lattasi ha incontrato a nord è dovuto al fatto che, in regioni fredde, i prodotti caseari si conservavano meglio e più a lungo, costituendo un’ottima protezione contro carestie, raccolti sfortunati e annate climaticamente avverse.

Si chiarisce dunque il quadro attorno a una delle molte prove degli adattamenti a cui è andato incontro Homo sapiens in epoca recente. Le tecniche oggi a disposizione permettono una precisione di analisi senza precedenti. Possiamo infatti osservare direttamente le tracce della selezione naturale in atto: il succedersi degli eventi può essere collocato in un luogo geografico e in un tempo accurati, figurando così uno scenario storico sempre più circoscritto di come lo scrutinio della selezione naturale ha modificato la nostra specie in tempi non troppo remoti. Ancor più interessante è la particolare forma di coevoluzione genetico-culturale che ha visto protagonisti la comparsa della persistenza della lattasi e la produzione di latticini. La mutazione che ha generato l’allele LP ha potuto diffondersi solo grazie al vantaggio che forniva ai portatori, e a sua volta l’unico modo attraverso cui questo processo poteva manifestarsi era che i fortunati avessero a portata riserve di latte fresco. Un cambiamento culturale ha generato una pressione selettiva e ha causato un’evoluzione biologica per selezione naturale. Una volta comparso l’allele, il consumo di latte e derivati trovò la strada spianata verso gli intestini dei Neolitici. Un’ultima menzione merita l’approccio utilizzato; la buona riuscita del progetto multidisciplinare schiude una linea guida per dirigere nuove analisi su altri adattamenti recenti inH. sapiens, come la capacità di digerire l’amido del grano o di assimilare l’alcool. Un brindisi dunque al lavoro del progetto LeCHE, ovviamente con un buon bicchiere di latte!

Sebastiano De Bona

Riferimenti:

Curry A., (2013). The milk revolution: when a single genetic mutation first let ancient Europeans drink milk, it set the stage for a continental upheaval, Nature 500: 20-22.

http://www.pikaia.eu/easyne2/LYT.aspx?Code=Pikaia&IDLYT=425&ST=SQL&SQL=ID_Documento%3D7116

Sostanze attive presenti nei funghi: L-Ergothioneina una nuova vitamina?

ergothioneina

L’ergotioneina EGT è un amminoacido, ossia un costituente delle proteine, derivato dall’istidina e contenente un atomo di zolfo. Questo composto naturale solubile in acqua è stato isolato per la prima volta nel 1909 in un fungo parassita, il Claviceps Purpurea, ovvero lo sclerozio della segale cornuta. Tuttavia, si è dovuto attendere più di un secolo prima di poterla sintetizzare in laboratorio. La FDA degli Stati Uniti ha riconosciuto questa molecola come «GRAS» (generally recognized as safe) vale a dire non tossica. Può essere utilizzata negli alimenti e nelle bevande funzionali nonché come integratore.

¤ La L-ergotioneina è sintetizzata da funghi e micro-batteri. Integrata nelle piante, viene ingerita dagli animali e dagli esseri umani attraverso il cibo. Le principali fonti alimentari sono i funghi commestibili, i fagioli neri e rossi, la crusca d’avena, l’aglio e alcune carni (fegato e rognone).
¤ Nei tessuti umani e animali, la L-ergotioneina si concentra negli organi sottoposti a un elevato livello di stress ossidativo: fegato, reni, cuore, epidermide, polmoni, milza, intestino tenue, sangue (in particolare negli eritrociti), ma anche nei tessuti oculari e nel plasma seminale.
¤ Alcune ricerche realizzate su tale sostanza hanno subito evidenziato le sue notevoli proprietà contro lo stress ossidativo e vi si riconosce un ruolo essenziale nelle malattie correlate all’invecchiamento. Inizialmente l’ergotioneina è stata utilizzata nel trattamento di importanti disfunzioni epatiche, per i casi di cataratta, nelle complicazioni del diabete o per le cardiopatie.
¤ Parimenti nel settore estetico si è riscontrata la possibilità di applicarla direttamente sull’epidermide per la prevenzione delle rughe e di altri segni di invecchiamento derivati dalle alterazioni foto-ossidative causate dal sole. Questa sostanza, naturalmente presente nella pelle, è in grado di contrastare l’effetto dei mediatori chiave coinvolti nell’invecchiamento cutaneo, in particolare nel fotoinvecchiamento della pelle.

L’unico antiossidante dotato di uno specifico sistema di trasporto
¤ A differenza di altri antiossidanti classici quali ad esempi le vitamine C ed E, la L-ergotioneina mostra l’eccezionale caratteristica di fissarsi al centro di alcune cellule. Di fatto essa possiede un gene che codifica una proteina di trasporto e gli consente di essere trasportata nelle cellule. Si tratta dunque di una potente sostanza antiossidante intracellulare, importante quanto l’ L-glutatione.
¤ Inoltre è risultata essere una potente sostanza chelante, ossia può associarsi a metalli pesanti tossici, proteggendo le cellule del sangue da qualsiasi forma di danneggiamento.
¤ Successivamente i ricercatori, interessati alle sue proprietà antiossidanti, hanno preso in considerazione i suoi effetti antiinfiammatori, in quanto l’ergotioneina agisce anche sull’interleuchina, una citochina proinfiammatoria.
¤ Nell’ambito dell’organismo umano, l’ergotioneina mostra dunque molteplici proprietà:

– disattiva le molecole di ossigeno reattivo (radicali liberi). Contrasta lo stress ossidativo e consente di ridurre i danni del DNA mitocondriale, l’ossidazione delle proteine e la perossidazione lipidica;
– chelata ovvero imprigiona diversi cationi metallici positivi;
– ha la possibilità di attivare gli enzimi antiossidanti come il glutatione perossidasi o il SOD, inibendo gli enzimi generatori del radicale superosside;
– diminuisce l’ossidazione delle diverse emoproteine come l’emoglobina e la mioglobina;
– protegge i mitocondri ;
– riduce gli effetti nocivi dei raggi ultravioletti;
– conserva e mantene i livelli di altri antiossidanti quali le vitamine C ed E, il glutatione e il SOD;
– protegge il cervello contro le neurotossine e svolge un ruolo utile contro la degradazione delle funzioni cognitive;
– favorisce la respirazione cellulare e la lipolisi dei grassi consentendo di aumentare le capacità energetiche e la resistenza all’esercizio fisico;
– infine, associata all’acido ialuronico, alla glucosamina, al collagene e all’unghia di gatto, consente di diminuire considerevolmente il dolore e migliorare la mobilità delle articolazioni, in particolare quelle coinvolte nei movimenti ridondanti dei lavoratori a turni, dopo sole sei settimane di trattamento.

¤ Attualmente la sostanza è ancora oggetto di numerosi studi, relativi ad esempio alle patologie respiratorie acute o ai problemi cutanei. Tuttavia la fonte comune sottostante risiede nel meccanismo dell’infiammazione. Questo infatti esprime la differenza sostanziale di questa sostanza che non si comporta come gli antiossidanti classici ma come un antiossidante “antinfiammatorio”.

L’unico antiossidante con emivita di trenta giorni
¤ Un ulteriore caratteristica che distingue questa sostanza dagli altri antiossidanti è che possiede un emivita molto lunga nell’organismo, pari a circa trenta giorni, in rapporto a quelle degli antiossidanti classici, che variano da 30 secondi a trenta minuti.

All’ergotioneina vengono associati quindi notevoli effetti positivi per le funzioni cognitive, per la vista, l’immunomodulazione, la salute polmonare, le funzioni riproduttive nonché diversi benefici a livello cutaneo. Tuttavia l’organismo non può sintetizzarla in alcun modo. Alcuni autori la ritengono simile a una vitamina, indispensabile per il buon funzionamento delle cellule. Oggi è possibile assumere questa sostanza essenziale come integratore.

L’accumulo di danni molecolari e cellulari, indotto dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS), è attualmente noto essere coinvolto nell’attivazione e nella progressione di diversi processi biologici e patologici, compresi: invecchiamento cellulare, patologie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer ed il Parkinson, e di patologie croniche quali quelle cardiovascolari, l’insulino resistenza e non ultimo il diabete. Proprio per quest’ultima patologia le evidenze del coinvolgimento del danno ossidativo a vari tessuti e’ stato considerato non solo come fattore eziologico ma anche come fattore chiave per la sua progressione. E’ stato inoltre osservato che molti processi degenerativi possono essere prevenuti attraverso trattamenti con scavengers dei radicali liberi e con antiossidanti esogeni.
Nella ricerca di trattamenti sempre piu’ mirati e in grado di agire da fattori terapeutici, in questo lavoro di tesi abbiamo analizzato le capacita’ antiossidanti di due prodotti naturali; l’ergotioneina (EGT), sostanza naturale, sintetizzata da batteri del terreno sui substrati fungini, e l’estratto fermentato di papaia (FPP). In dettaglio, lo scopo di questa tesi e’ stato di verificare gli effetti dell’EGT e dell’FPP nella prevenzione degli effetti fisiologici indotti da danno ossidativo in un modello cellulare neurale in vitro di feocromocitoma di ratto (PC12) ed in un modello murino di fibroblasti di topo (C2C12).
La prima fase ha interessato lo studio dell’attivita’ antiossidante dei composti selezionati considerando la loro capacita’ di antagonizzare l’ossidazione dell’acido alfa-cheto-gamma-metilbutirrico del radicale idrossile, del perossile e del perossinitrato. I risultati sono stati espressi in Total Oxyradical Scavcenging Capacity (Unita’ TOSC). L’EGT ha mostrato di essere il piu’ attivo antiossidante analizzato se confrontato con il GSH, l’acido urico e il Trolox, un analogo della vitamina E. In dettaglio, l’EGT ha mostrato di avere la capacita’ antiossidante piu’ alta verso il radicale perossile, mostrando un valore del 25% piu’ alto rispetto all’antiossidante di riferimento per questo radicale. La capacita’ di scavenger verso il radicale idrossile ha mostrato un valore del 60% piu’ alto rispetto all’acido urico. Per quel che riguarda la capacita’ di ridurre il radicale perossinitrato, anche in questo caso l’EGT si e’ dimostrato essere il piu’ efficacie. Analizzando l’effetto dell’FPP sulla capacita’ di ridurre il radicale perossile, idrossile e perossinitrato il quadro generale e’ risultato molto diverso. L’FPP infatti ha mostrato una elevata capacita’ di ridurre solo il radicale ossidrile, con un valore del 120% superiore all’antiossidante di riferimento, dimostrandosi un antiossidante piu’ specifico.
Passando successivamente all’analisi degli effetti dell’EGT e dell’FPP nei vari modelli cellulari, il primo passo e’ stato quello di analizzare l’effetto inibitorio nei confronti della citotossicita’ indotta dall’H2O2 nella linea cellulare PC12 e del PA, tramite il saggio dell’MTT, per le C2C12. Entrambe i pre-trattamenti con EGT e FPP sono stati in grado di ridurre l’effetto citotossico indotto dall’ossidante scelto ed in modo concentrazione-dipendente. I dati ottenuti con i saggi di vitalita’ cellulare hanno avuto perfetta correlazione con i risultati ottenuti analizzando le potenzialita’ di inibire il danno al DNA. Il saggio della Cometa, valutando in modo quantitativo i tagli a singolo e doppio filamento, ha evidenziato che sia per l’EGT che per l’FPP e’ presente una tendenza alla riduzione dell’endpoint preso in considerazione, che pero’ e’ risultata statisticamente significativa (P<0.001) solo per l’EGT.
Per poter avere maggiori informazioni sul meccanismo di protezione da danno citotossico abbiamo analizzato la possibile modulazione indotta ad alcune protein-chinasi intracellulari (MAPKs). Quello che e’ stato evidenzito e’ che, in presenza di danno ossidativo indotto da H2O2, l’EGT si comporta da inibitore della fosforilazione di p38 e da attivatore di fosforilazione per Akt, mentre nessun effetto e’ stato osservato per ERK1/2. In queste condizioni quindi l’EGT e’ plausibile che giochi un ruolo protettivo nella citotossicita; indotta da agenti ossidanti attivando meccanismi molecolari intracellualari in cui p38 e’ fattore determinante. Per la modulazione a carico dell’FPP, sulle MAPKs, quello che e’ stato possibile osservare e’ che tale sostanza, anche se in modo meno evidente che per l’EGT, e’ anch’essa capace di agire come modulatore di eventi di fosforilazione ma solo a carico di Akt. Nessun effetto significativo e’ stato invece osservato a carico di p38 e ERK1/2. Avendo presenti gli interessanti risultati ottenuti con l’EGT il passo successivo e’ stato quello di investigare in vitro il suo effetto protettivo/antiossidante in un modello di fibroblasti murini (C2C12) sotto l’azione ossidante dell’acido palmitico (PA). Le cellule sono state incubate a diverse concentrazioni di PA (PA; 250, 500, 750 e 1000 microM) per 24h preceduta da 24h di pre-trattamento con l’EGT. Tramite tale protocollo sperimentale abbiamo analizzato come endpoints cellulari, la citotossicita’ cellulare (saggio MTT), la modulazione di alcune protein-chinasi intracellulari (MAPKs) (Western blot) e l’effetto trascrizionale e traduzionale per il gene pro-infiammatorio IL-6. I risultati dell’effetto protettivo nei confronti della citotossicita’ indotta da PA hanno mostrato un evidente recupero, statisticamente significativo, sia per la vitalita’ che per la morfologia cellulare, ad entrambe le concentrazioni di EGT analizzate (500 e 1000 microM); dati in perfetta correlazione con quelli ottenuti con il modello cellulare PC12. Per quel che riguarda la modulazione delle MAPKs analizzate, anche per le C2C12, l’EGT si e’ “comportata” come inibitore specifico di p38 e Akt. Infine per la parte relativa all’IL-6, l’EGT ha agito da sostanza anti-infiammtoria inducendo un decremento, statisticamente significativo, della regolazione del gene analizzato sia a livello trascrizionale che traduzionale.
In conclusione i risultati, seppur parziali, ottenuti in questo lavoro di tesi, suggeriscono che (i) l’EGT e l’FPP svolgono un ruolo protettivo nei confronti della citotossicita’ indotta dagli agenti pro-ossidanti scelti (H2O2 e PA), (ii) che tale effetto implica la regolazione delle protien-chinasi intracellulari e che (iii) l’EGT e’ in grado di agire da sostanza antiinfiammatoria almeno nel modello cellulare analizzato.Ergotioneina

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Biosintesi

È un derivato dall’istidina, contenente un atomo di zolfo dell’anello imidazolico.

La sua biosintesi consiste nella modifica dell’istidina attraverso la polimetilazione all’azoto, con la catalizzazione di enzimi a base di S-adenosil metionina, che porta alla formazione di hercinina. Successivamente la cisteina si lega attraverso un ponte solfuro, e in una reazione catalizzata dall’enzima cisteinasi, il residuo cisteinico si decompone in acido piruvico ed ammoniaca, lasciando un gruppo sulfenico (-SOH), il quale viene poi ridotto a sulfidrile (-SH).

Questo composto ha un comportamento insolito poiché l’atomo di zolfo è più stabile in soluzione nella forma tionica, piuttosto che come sulfidrile. Questo rende l’ ergotioneina molto meno reattivo rispetto ai tioli come il glutatione nei confronti di agenti alchilanti come i maleimmidi, e ne impedisce anche l’ossidazione all’aria. Tuttavia, l’ EGT può essere ossidata lentamente nell’arco di diversi giorni alla forma disolfuro in soluzioni acide. Se l’ ergotioneinanon viene ossidata, il disolfuro è un agente ossidante molto forte, quindi questo a sua volta rapidamente ossida altri tioli presenti nella cellula come ad esempio il glutatione.

Proprietà

L’ergotioneina in vitro ha proprietà antiossidanti. Studi scientifici hanno dimostrato le sue capacità di neutralizzare radicali idrossiliacido ipocloroso, inibire la produzione di ossidanti da parte degli ioni metallici, e partecipare nel trasporto degli ioni metallici e nella regolazione dei enzimi metallici. Poiché tali attività sono state registrate “in vitro” la loro rilevanza in vivo restano non ancora accertate.

Sebbene l’ergotioneina non possa essere prodotta nelle cellule umane, è presente in alcuni tessuti a livelli elevati in quanto è assorbita attraverso la dieta; nell’uomo è assorbita dall’intestino e concentrata in alcuni tessuti da un trasportatore specifico chiamato ETT (gene SLC22A4), ma ancora oggi non si conosce fino in fondo il suo ruolo nel metabolismo umano.

Metabolismo ed origine

L’ ergotioneina è stata isolata per la prima volta dalla segale cornuta (ergot) da cui prende il nome; tuttavia è presente anche in altri funghi ascomiceti(Neurospora crassa) e basidiomiceti (Coprinus atramentariusCoprinus comatus). È stata inoltre trovata in batteripiante ed animali, a volte a livellimillimolari. Cibi ricchi di EGT sono il fegato, il renefagioli neri e crusca di avena, con i più alti livelli nei funghi boletipleuroti. Nel corpo umano, le più cospicue quantità di EGT sono state trovate negli eritrociti, nel cristallino e nello sperma,nonché nella pelle.

Mentre in molti esseri viventi questa sostanza proviene dall’esterno, ovvero dalla dieta, in altri si forma per biosintesi, come ad esempio negliActinobacteria, quale il Mycobacterium smegmatis e nei fungi filamentosi, come la Neurospora crassa. Comunque non è ancora chiara l’esatta via metabolica, si conoscono solo alcuni passaggi della biosintesi. Altre specie di batteri come Bacillus subtilisEscherichia coliProteus vulgaris eStreptococcus, e funghi come i Saccharomycotina non possono produrre EGT.

Ergothioneine: A New Vitamin?

Ergothioneine was discovered a century ago but ignored until recently when researchers found that we have a transporter protein in our bodies specifically designed to pull it out of our diets and into our tissues. This suggests that it plays some important physiological role, but what does it do? Well our first clue was the tissue distribution. Ergothioneine concentrates in parts of our body where there’s lots of oxidative stress—the lens of our eye and the liver, as well as  sensitive areas such as bone marrow and seminal fluid. Researchers guessed that it might function as a so-called “cytoprotectant,” a cell protector, and that’s indeed what was subsequently found.

Not only does ergothioneine get into the nucleus of our cells to protect our DNA, it can get into our mitochondria, the power plants of the cell. Ergothioneine appears to function as a potent intra-mitochondrial antioxidant. Why is that important?  In my 5-min. video Mitochondrial Theory of Aging I quote one of the greatest biochemists of all time:

“Aging is a disease. The human lifespan simply reflects the level of free radical damage that accumulates in cells. When enough damage accumulates, cells can’t survive properly anymore and they just simply give up.”

First proposed in 1972, the Mitochondrial Theory of Aging suggests that it’s free radical damage to our cells’ power source that leads to a loss of cellular energy and function over time. It’s a little like charging your iPod battery over and over again; every time you charge it the capacity gets less and less.

In my Stopping Cancer Before it Starts DVD, I go into detail about the quantum biology of oxidative phosphorylation, but in a nutshell the oxygen we breathe may get ahold of an electron we ate that was pumped with energy by plants (thanks to photosynthesis). The oxygen molecule is thereby transformed into what’s called superoxide, which can damage (oxidize) our delicate cellular machinery. Basically we’re rusting—that’s what rust is, the oxidation of metal. Scientifically, aging has been considered the slow oxidation of our bodies. Like those brown age spots on the back of your hands? That’s just oxidized fat under the skin. Oxidant stress is why we get wrinkles, it’s why we lose some of our memory, and it’s why our organ systems break down as we get older.

How do we slow down oxidation? By eating foods containing anti-oxidants. If you want to know if a food has a lot of antioxidants in it simply slice it open, expose it to air—expose it to oxygen–and see what happens. Does it oxidize? Does it turn brown? Think about our two most popular fruits: apples and bananas. They turn brown right away; not a lot of antioxidants inside there. How do you keep your fruit salad from turning brown though? Add lemon juice, which has vitamin C in it, an antioxidant, that can keep your food from oxidizing and may do the same thing inside our bodies.

For an introduction on where antioxidants can be found in our diet, see Antioxidant Content of 3,139 Foods and Antioxidant Power of Plant Foods Versus Animal Foods.

Here’s the catch: many antioxidants can’t penetrate through the mitochondrial membrane into the mitochondria. They can protect the rest of the cell including our DNA, but they can’t get access into the power plants of our cells and therefore may be helpless to slow down the aging process. Ergothioneine, however, is allowed access into our mitochondria. Where is it found in the diet? Mushrooms! Check out my 3-min. videoErgothioneine: A New Vitamin?.

Other examples of the magic of mushrooms can be found in:

§ Making Our Arteries Less Sticky

§ Vegetables Versus Breast Cancer

§ Breast Cancer Prevention: Which Mushroom Is Best?

§ Breast Cancer vs. Mushrooms

§ Why Do Asian Women Have Less Breast Cancer?

Probably best to cook them though, see Toxins in Raw Mushrooms?

-Michael Greger, M.D.

PS: If you haven’t yet, you can subscribe to my videos for free by clicking here and watch my 2012 year-in-review presentation Uprooting the Leading Causes of Death

 

Synonyms: Thioneine, thiolhistidine betaine, 2-mercaptohistidine trimethylbetaine

L-Ergothioneine is a natural and water-soluble compound which has been first isolated from Claviceps purpurea in 1909 [1]. It is almost ubiquitous in living organisms and it has been found in particular in the well-known horseshoe crab (Limulus polyphemus), one of the oldest living animal on Earth [2].

L-Ergothioneine has been shown to be biosynthesized in fungi (such as Neurospora crassa) and mycobacteria [3-5]. Incorporated into plants, it is ingested by animals and humans through their diet. The determination of the ergothioneine content in common foods shows that edible mushrooms, black and red beans, oat bran, garlic and some meat products (liver and kidney) are the main dietary sources of this compound [6,7].

L-Ergothioneine is distributed in most human and animal tissues where it can reach sub-millimolar or even millimolar concentrations. It has been found in particular in liver, kidney, heart, skin, lung, spleen, small intestine and blood (in erythrocytes) [8,9], as well as in ocular tissues [10] and seminal plasma [11-13].

L-Ergothioneine is absorbed in tissues through a specific organic cation transporter, OCTN1 (or ETT), which has been identified as such in 2005 [14]. This discovery, about a century after that of L-ergothioneine, has boosted the advancement of knowledge of this fascinating natural compound. Earlier characterized in humans [15], OCTN1 was shown to have a high affinity for L-ergothioneine (Km=21μM, i.e., 100 times more than that of L-carnitine) involving a Na +-dependent anti-transport [14,16]. Expressed on the cytoplasmic membrane, OCTN1 localization has also been shown in mitochondria [17].

Metabolomic analysis in Octn1 gene knockout mice showed an almost complete disappearance of L-ergothioneine in tissues of these mice [9].

The profile of OCTN1 expression corroborates the ergothioneine distribution [14-16,18-23]. It is characterized by a high expression in the bone marrow, and more precisely in CD14+ monocytes and CD71+ (transferrin receptor) erythroid progenitor cells [14]. OCTN1 is not expressed on erythrocytes, which incorporate L-ergothioneine during erythropoiesis [8].
OCTN1 expression is regulated by pro-inflammatory cytokines (TNF-
α, IL-1β) via the transcription factor NF-κB [24], and it is under the control of RUNX1 [24], whose involvement has been demonstrated in proliferation and differentiation during hematopoiesis [25,26], neurogenesis [27] and hair morphogenesis [28].

Finally, it has been shown that OCTN1 knockdown results in:

  • A decrease of differentiation and L-ergothioneine uptake in K562 cells (cells from human chronic myelogenous leukemia) [29]
  • An increase of oxidative stress-induced alterations in HeLa cells (human epithelial cell line) [30]

Numerous antioxidant and potential pharmacological properties have been demonstrated for L-ergothioneine:

in vitro

  • Trapping of strong oxidizing species: HOCl [31], ONOO- [32], ROO[33]
  • Quenching of singlet oxygen (1O2) [34,35] and excited photosensitizer [36]
  • Chelation of divalent metallic cations (Cu2+, Zn2+ [37,38]) and prevention of pro-oxidant effects of copper [39]
  • Reduction of Fe(IV)-Hb/Mb and protection of isolated rat heart from ischemia/reperfusion-induced injury [40]
  • Protection of cellular macromolecules from damage induced by oxidative stress[30,41]
  • Inhibition of hydrogen peroxide- and TNF-α-induced NF-κB activation and IL-8 release in epithelial cells [42]
  • Inhibition of IL-1β-induced endothelial expression of cell adhesion molecules (VCAM-1, ICAM-1 and E-selectin) and subsequent monocyte binding [43]
  • Inhibition of PC12 apoptosis induced by hydrogen peroxide [44] / β-amyloid peptide[45]
  • Inhibition of palmitic acid-induced IL-6 production by C2C12 myoblasts [46]
  • Stimulation of Caco-2 cells proliferation [47]

in vivo

  • Decrease of nitrite-induced methemoglobin formation in rabbits [48,49]
  • Neuroprotection against NMDA excitotoxicity in rats [50]
  • Decrease of the rate of embryo malformation in diabetic rats [51]
  • Protection against ischemia/reperfusion-induced injury: rat liver [52] and small intestine [53]
  • Protection against oxidative damage induced by ferric-nitrilotriacetate in rats [54]
  • Neuroprotection against cisplatin toxicity in mice [55]

Despite numerous studies, the in vivo role of L-ergothioneine remains unknown today. It has been suggested that L-ergothioneine may represent a new vitamin [30], but its essential role has not been discovered yet through deprivation or knockout in vivostudies, the resulting animals being phenotypically similar to control animals. Such an essential role might be only revealed under stress conditions.

L-Ergothioneine can at least be considered as a physiological antioxidant endowed with anti-inflammatory properties. Naming this compound solely an “antioxidant” might be confusing if this property is only related to its ability to trap reactive oxygen/nitrogen species. Indeed, in vivo, the ability of L-ergothioneine, to also specifically interact with macromolecules (other than its transporter) remains to be addressed, in particular towards redox alterations of proteins, such as disulfide formation, nitrosylation and metal coordination. These chemical modifications are known to play a key role in the redox signaling of cellular events and cell fate. So in that case, defining L-ergothioneine as a modulator of redox homeostasis would be more appropriate.

L-Ergothioneine is used as an active ingredient in Cosmetics, in topical application. This development is strongly supported by the fact that L-ergothioneine naturally occurs in skin and is able to counterbalance the effect of key mediators involved in skin aging, and in particular in skin photodamage. The photoprotective effect of L-ergothioneine has been demonstrated in vitro [20,21,56,57]. Developing oral applications of L-ergothioneine to face skin aging could also be an interesting strategy.

A dietary supplement containing synthetic L-ergothioneine, ERGOFLEX, has recently been launched by Oxis International Inc. in US. This product is intended to relieve joint pain.

 

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Avvelenamento da funghi

Avvelenamento da funghi

Al CAV oltre 4.000 segnalazioni in 4 anni, 433 quelle per i casi pediatrici. Il più piccolo aveva 9 mesi, per un ragazzo di 13 anni l’unica salvezza è stato il trapianto di fegato. Con l’autunno sopraggiunto ci si ritrova a fare i conti con una delle emergenze stagionali più temute: l’avvelenamento da funghi; un pericolo da non sottovalutare per cui il Centro Antiveleni di Milano riceve centinaia di richieste d’intervento ogni anno. Dal 2009 al 30 settembre 2014 agli specialisti del centro sono giunte 4.215 richieste di consulenza, molte delle quali hanno riguardato dei bambini. Con i funghi non si scherza e così anche una fiaba può essere una carta su cui puntare per fare prevenzione. “Le manifestazioni cliniche sono a volte sfumate e sfuggono al controllo medico perché scambiate dal paziente, ma a volte anche dal medico curante, per sindromi gastroenteriche simil-influenzali- spiega Franca Davanzo, Direttore del Centro Antiveleni di Milano-. Ma nella nostra casistica la maggior parte delle richieste di consulenza è giunta dal Pronto Soccorso e questo già evidenzia la gravità dei sintomi manifestati”. I BAMBINI E GLI INTERVENTI Dal 2009 a fine Settembre 2014 il CAV ha fornito consulenza per 433 bambini, il più piccolo dei quali aveva 9 mesi di età. Mettendo sotto la lente la casistica, emerge come il ruolo degli adulti sia cruciale per arginare il fenomeno: è importante tenere sott’occhio le azioni del bambino, che può ingerire i funghi che trova negli spazi di gioco all’aria aperta, ed è altrettanto fondamentale rivolgersi ad un micologo esperto per far controllare quanto raccolto prima di cucinarlo. “Nel 25% dei casi, i bambini avevano ingerito funghi ritrovati in giardino o in spazi verdi simili- illustra Davanzo- nel 14% si tratta invece di ingestione di funghi controllati con manifestazione di sintomi dopo l’ingestione; nel 61% i sintomi sono stati, invece, provocati dall’ingestione di funghi raccolti e consumati con gli adulti senza il preventivo controllo micologico. A questo gruppo appartengono 11 bambini, il più piccolo dell’età di 3 anni, che hanno mangiato funghi contenenti amatossine (Amanita phalloides, Amanita verna, Lepiota brunneoincarnata). Per questo sono stati sottoposti a terapia intensiva con iperidratazione, oltre alla lavanda gastrica e al trattamento con carbone attivato a dosi ripetute. Per un bimbo di 13 anni l’unica possibilità di salvezza è stato un trapianto di fegato in tempi rapidissimi”. LA FIABA La valutazione di questi dati e il significativo incremento dei casi di intossicazione nella fascia pediatrica da 0 a 14 anni (soprattutto dal 2009 al 2012), ha portato all’ideazione di una fiaba per l’educazione dei più piccoli e dei loro genitori, pensata e realizzata dagli stessi specialisti del CAV-Milano. Nel racconto sono presenti tutti gli attori della vita reale. Re Baldassarre è il consumatore di funghi giudizioso che si preoccupa della commestibilità dei funghi raccolti; la Principessa Cloe rappresenta il raccoglitore occasionale che si affida ad amici o conoscenti per il riconoscimento dei funghi raccolti; Saltellino è la persona più pericolosa, superficiale e incompetente, pensa di conoscere i funghi solo perché li ha sempre raccolti. Infine c’è il Guardaboschi, il micologo esperto, grazie al cui intervento si arriva a un lieto fine.

 

Avvelenamento da funghi

Oltre alle specie fungine commestibili, nei boschi crescono anche funghi non commestibili, tossici, velenosi e velenosi mortali. Ogni anno si registrano in Italia circa 40.000 casi di intossicazione da funghi e almeno una decina di decessi. Le forme di intossicazione dovute all’assunzione di funghi, possono essere di svariata natura a seconda della specie fungina consumata, con quadri clinici molto variabili. Le intossicazioni generate da funghi potenzialmente mortali provocano danni d’organo irreversibili al fegato, nel caso di funghi appartenenti al genere Amanita e Lepiota, ed ai reni nel caso del genere Cortinarius. Inoltre, vi sono innumerevoli altre specie tossiche che, se da un lato non mettono a repentaglio la vita del paziente, sono comunque responsabili di intossicazioni i cui sintomi possono coinvolgere il tratto gastro-intestinale fino a complicazioni a carico del sistema nervoso centrale. Non è infrequente il caso in cui, funghi definiti commestibili provochino intossicazioni qualora per questi ultimi non siano state osservate le opportune cautele in fase di preparazione e cottura. L’unico modo per stabilire la commestibilità di un fungo è quello di determinarne la specie. I metodi empirici non hanno alcun fondamento scientifico, è opportuno chiarire in forma definitiva che i luoghi comuni quali prove con aglio, monete d’argento, prezzemolo ecc sono da assolutamente da sfatare poiché non hanno nessuna validità. Mescolarli al cibo degli animali domestici, oltre ad essere criminale, è inutile poiché la risposta all’esposizione a tossine potrebbe essere differente rispetto a quella dell’uomo e, nel caso di funghi del genere Cortinarius i sintomi possono comparire molti giorni dopo il consumo (fino a 20), ben oltre il normale tempo di attesa per una presunta comparsa di sintomi. Il Micologo è la figura istituzionale che presta servizio negli Ispettorati Micologici istituiti presso le Aziende Sanitarie Locali, preposta al riconoscimento delle specie fungine al fine di stabilirne la loro commestibilità. Il riconoscimento di un fungo richiede conoscenze botaniche che solo un Micologo possiede. I raccoglitori sono invitati a sottoporre a visita preventiva il proprio raccolto anziché avventurarsi in un incauto consumo di funghi non controllati. La visita funghi è un servizio completamente GRATUITO, al termine del quale viene rilasciato un certificato ufficiale ove sono indicati i nomi scientifici delle specie identificate, se ne attesta la loro commestibilità e si forniscono le corrette indicazioni per il consumo. Non fidarsi di esperti improvvisati o della determinazione fatta unicamente attraverso le descrizioni e/o le immagini di testi, perché con le foto possono sfuggire caratteri fondamentali per le classificazioni. Consigli per la raccolta:

• Non raccogliere indiscriminatamente tutti i funghi rinvenuti, per non devastare l’equilibrio dell’ecosistema.

• I funghi vanno raccolti interi, non recisi, poiché parti determinanti per l’individuazione di specie potrebbero rimanere nel terreno.

• È vietato ricorrere all’uso di vanghe, zappe, uncini e strumenti vari che potrebbero danneggiare lo strato umifero del sottobosco.

• I funghi vanno raccolti sani e non se in cattivo stato: ammuffiti, larvati, fradici, e comunque alterati.

• Gli esemplari che non raccolti devono essere lasciati tal quali e non distrutti, presi a calci o a bastonate.

• I funghi raccolti devono essere trasportati in contenitori rigidi ed aerati (ad es. cestini di vimini) che consentono l’ulteriore disseminazione delle spore. Inoltre, si evitano così fenomeni di compressione e di fermentazione dei funghi. Non mettere i funghi sospetti insieme ai funghi buoni: alcuni frammenti di fungo velenoso possono rimanere imbrigliati in quelli mangerecci, ciò può essere sufficiente a causare disturbi.

• Non raccogliere funghi cresciuti in aree sospette, ad es. vicino a discariche di rifiuti, cumuli di macerie, sponde di corsi d’acqua lurida, parchi e giardinetti cittadini, a ridosso di aeroporti, nei pressi di autostrade o strade ad intenso traffico veicolare, stabilimenti industriali, forni inceneritori, aree cimiteriali, centrali elettriche, frutteti e/o colture trattate con prodotti fitosanitari.

• Non regalare funghi se la loro commestibilità è incerta, perchè si incorre in gravi responsabilità. Consigli per il consumo

• La cottura, l’essicamento o altri trattamenti non servono a rendere commestibili i funghi mortali, i funghi velenosi contengono tossine termostabili che mantengono comunque la loro proprietà tossica. • Tutti i funghi commestibili vanno consumati ben cotti: quelli crudi sono scarsamente digeribili, se non addirittura velenosi.

• Il comune “chiodino” – Armillaria mellea – è tossico da crudo e deve essere necessariamente pre-bollito per almeno 15 minuti prima della successiva cottura.

• Qualora si intenda conservare i chiodini mediante congelamento si rammenta che il trattamento di prebollitura deve essere eseguito prima di procedere al congelamento. Se non eseguita le tossine esposte alle basse temperature passano da termolabili a termostabili per cui tutti i trattamenti termici eseguiti dopo il congelamento sono del tutto inefficaci alla disattivazione delle tossine.

• Evitare di far consumare funghi a bambini, donne in gravidanza o allattamento, anziani, persone che presentano intolleranza a particolari alimenti, farmaci o affette da patologie gastriche, epatiche, pancreatiche, renali, senza il consenso del medico.

• I funghi sono di difficile digeribilità: anche persone adulte e sane devono mangiarne in quantità moderata.

• I funghi ritenuti commestibili vanno mantenuti in contenitori rigidi e aerati ed in luogo fresco. Il loro periodo di conservazione è estremamente ridotto per cui il consumo, o eventuali operazioni di conservazione, vanno effettuati nel più breve possibile, preceduti da una accurata pulizia, da ripetuti lavaggi ed una adeguata cottura per almeno 30 minuti Consigli per l’acquisto

• Non acquistare mai funghi proposti da venditori improvvisati non autorizzati.

• Negli esercizi di vendita, verificare che la cassetta o il contenitore siano muniti del prescritto “cartellino” di avvenuto controllo micologico da parte degli Ispettori Micologici dell’ASL recante il nome scientifico della specie.

• Nel caso non sia presente il cartellino di controllo si consiglia di non acquistare il prodotto e di segnalare il fatto agli organi preposti al controllo degli alimenti (Tecnici della prevenzione delle ASL, NAS ecc.). Le intossicazioni da funghi L’esordio delle intossicazione da funghi ha quasi sempre origine con manifestazioni gastroenteriche, ma alcuni funghi portano a patologie più o meno gravi e potenzialmente letali se comprendono danni d’organo quali fegato e reni. La gravità dell’avvelenamento dipende dalla specie e dalla quantità di funghi ingeriti.

• Sindrome gastroenterica: la maggior parte dei funghi velenosi è responsabile di questa sindrome. I sintomi iniziano generalmente dopo 1 – 3 ore dall’ingestione e consistono in vomito, crampi addominali e diarrea. La terapia prevede lavanda gastrica, reintegrazione dei liquidi ed elettroliti persi.

• Sindrome falloidea: inizia dopo 8 – 12 ore con crampi addominali, vomito e diarrea profusa. Non vi è terapia efficace: nel giro di 24 – 48 ore si verificano danni epatici gravi e talvolta letali. Si valuta la possibilità del trapianto di fegato. Si procede con lavanda gastrica, lavaggio intestinale, diuresi forzata, si somministrano carbone vegetale e sostituti plasmatici.

• Sindrome orellanica: la lunga latenza dei sintomi, che possono manifestarsi anche oltre 15 giorni dall’ingestione, rende difficile riferire la causa al consumo di funghi, provoca danni renali irreversibili spesso è letale. È necessario ricorrere a dialisi a vita se non è possibile un trapianto di rene.

• Sindrome micoatropinica: i sintomi, di tipo neurologico, iniziano dopo alcune ore con agitazione, convulsioni, midriasi, coma, talora disturbi enterici.

• Sindrome muscarinica: è caratterizzata da salivazione intensa, lacrimazione incessante, accompagnata da nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea, difficoltà respiratorie fino a una vera crisi asmatica, riduzione della frequenza cardiaca, ipotensione, cefalea e diminuzione del diametro pupillare (miosi). Se, dopo aver consumato funghi, dovessero insorgere disturbi, si consiglia:

• recarsi immediatamente al Pronto Soccorso o all’Ospedale più vicino;

• tenere a disposizione e portare con sé gli avanzi del pasto, anche se già cotti, e di tutti i funghi rimasti disponibili, compresi quelli gettati nella pattumiera;

• non tentare terapie autonome. [Fonte: ASL Milano – Regione Lombardia]

Gli Ispettorati micologici delle AUSL della provincia di Bologna svolgono consulenza per gli ospedali, in caso di intossicazione da funghi, sin dal 1996.  La finalità di questo compito, affidato dalla Legge regionale 2 aprile 1996 n. 6, è quella di favorire la diagnosi precisa e precoce delle sindromi da avvelenamento attraverso l’identificazione delle specie fungine che le hanno causate, per consentire l’avvio del miglior trattamento terapeutico nel minor tempo possibile.

Con gli anni l’attività degli Ispettorati si è sempre meglio organizzata, sia nella raccolta dei dati, utili per valutare la situazione epidemiologica territoriale, sia nell’organizzazione, che dal 2006 vede attiva, da luglio a novembre, una pronta disponibilità feriale e festiva, 24 ore su 24, per le richieste degli ospedali.
Il monitoraggio delle intossicazioni si inserisce comunque in un più ampio sistema di sorveglianza regionale.
In Tabella 1 vengono mostrati i dati di sorveglianza relativi alle intossicazioni da funghi avvenute nel periodo 2001-2012 nel territorio della provincia di Bologna e che hanno determinato ricovero ospedaliero, con conseguente attivazione degli Ispettorati micologi delle AUSL di Bologna e di Imola. Si tratta, molto probabilmente, di dati sottostimati, quantomeno per il fatto che nel passato, in diversi casi, gli ospedali non hanno fatto riferimento alle AUSL nei casi di intossicazione, gestendo autonomamente le persone malate o riferendosi direttamente ad altri soggetti competenti (ad esempio il Centro micologico dell’Agenzia regionale Prevenzione e Ambiente).

Tabella 1 – Intossicazioni da funghi in provincia di Bologna  nel periodo 2001-2012

Funghi responsabili

Numero di persone intossicate

Numero di persone morte

Specie  velenose

39

2

Specie tossiche senza appropriato trattamento

10

0

Specie normalmente commestibili

19

0

Specie non determinate

25

0

Totale

93

2


Una discreta parte di avvelenamenti (39) è stata dovuta, come è logico, alla consumazione di specie effettivamente tossiche; ma nella maggior parte dei casi (54), contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è stato così. Esaminiamo nel dettaglio i vari tipi di intossicazione. In Tabella 2 sono riportate le intossicazioni da funghi notoriamente velenosi comunque assunti (crudi, cotti, secchi o in qualsiasi modo preparati).


Tabella 2 – Intossicazioni da FUNGHI VELENOSI

Specie responsabile

Numero di persone intossicate

Numero di persone morte

Note

Agaricus gruppo xanthoderma

4

0

Amanita phalloides

15

2

3 persone con trapianto di fegato

Boletus satanas

1

0

Entoloma sinuatum

14

0

Lepiota subincarnata

1

0

Omphalotus olearius

4

0

Totale

39

2

Per la gravità della sindrome, in massima evidenza vi sono le quindici intossicazioni da Amanita phalloides, avvenute in sette distinti episodi. Si tratta di avvelenamenti caratterizzati da un periodo di latenza piuttosto lungo (in genere 8-12 ore), che non consente, nella maggior parte dei casi, di iniziare un trattamento terapeutico efficace in tempo utile; ciò determina spesso gravi conseguenze, che possono arrivare alla necessità di un trapianto del fegato (tre nella nostra casistica) o addirittura alla morte (noi ne abbiamo registrate due). In almeno un paio di episodi (tre persone interessate) è stato accertato che A. phalloides è stata raccolta scambiandola con russule di colore verde (spesso conosciute, nelle nostre montagne, con il nome locale di “verdoni”); in un altro caso abbiamo verificato che è stata confusa  con un’amanita della sezione Vaginatae (cosiddetti “sblisgon”).

Un ulteriore caso di sindrome falloidea è stato dovuto a Lepiota subincarnata, specie assai differente da A. phalloides, le cui piccole dimensioni rendono fortunatamente più difficile il consumo di un quantitativo di funghi importante in termini di peso, anche se le tossine di tale specie sono in gran parte uguali a quelle di A. phalloides e, quindi, potentissime; il rischio di confusione con specie eduli di piccola dimensione, come ad esempio Marasmius oreades (gambesecche) deve sempre essere attentamente valutato (vedi anche le quattro intossicazioni da Lepiota di piccola taglia riportate in Tabella 5).
Diversi avvelenamenti sono stati dovuti al consumo di Entoloma sinuatum (quattordici persone colpite), che determina una sindrome a periodo di latenza ugualmente abbastanza lungo (4-6 ore) e lunga durata dei disturbi gastroenterici (fino a 2 settimane), con esito però generalmente favorevole in quanto non avviene citolisi dei parenchimi nobili (anche se in taluni casi, nella casistica internazionale, si è verificato il decesso). E’ probabile che molte intossicazioni da E. sinuatum si siano verificate per il suo scambio con Clitocybe nebularis (“prugnolo d’autunno” o “nebbiolo” o “cimballo”) in una popolazione, quella della provincia di Bologna, che tradizionalmente lo consuma ancora abbastanza frequentemente (nonostante anch’esso, in base alle attuali conoscenze, non sarebbe più da ritenersi un fungo edule) oppure con Lyophyllum conglobatum (conosciamo con sicurezza il caso di una persona che, nel passato, è incorsa per un paio di volte in questo stesso errore).

Gli Agaricus velenosi del gruppo xanthoderma vengono senz’altro consumati, spesso nell’errata convinzione che tutti gli agarici bianchi siano commestibili, molto più frequentemente di quanto indicato dalla nostra casistica (quattro intossicati), come suggerito dal rilevante numero di persone che incorre in questo errore (senza seguito clinico) recapitandoci in Ispettorato questi funghi tossici.
Omphalotus olearius (quattro casi) è stato probabilmente confuso con Cantharellus cibarius (“galletto”).
Alcune specie fungine, commestibili dopo adeguata cottura (almeno 30 minuti), sono tossiche (o quasi sempre tossiche) se consumate crude o non perfettamente cotte: così probabilmente si spiegano gli avvelenamenti determinati dalle quattro specie riportate in Tabella 3

Tabella 3 – Intossicazioni da FUNGHI TOSSICI SENZA APPROPRIATO TRATTAMENTO

Specie responsabile

Numero di persone intossicate

Numero di persone morte

Note

Armillaria mellea

5

0

In 2 casi su 5 i funghi non erano ben cotti

Boletus luridus

1

0

Ptychoverpa bohemica

3

0

Sempre poco cotte

Russula olivacea

1

0

Totale

10

0

Il maggior numero di questi casi è dovuto alla consumazione di Armillaria mellea (“chiodini” o “famigliola buona”) e Ptychoverpa bohemica, le quali contengono sostanze termolabili (forse reali tossine) non tollerate da molte persone. Oltre a ciò, nei residui dei pasti che hanno causato le intossicazioni da A. mellea si trovano talvolta parecchi pezzetti di gambi fungini, che sarebbero invece da scartare interamente perché troppo coriacei. Non abbiamo invece informazioni sulle modalità di preparazione di Boletus luridus e Russula olivacea per i casi riportati in tabella.
Diverse intossicazioni sono state causate da funghi non contenenti, neppure allo stato crudo, sostanze notoriamente tossiche (Tabella 4). In tali intossicazioni non si ha naturalmente la certezza che la causa dei disturbi siano stati realmente i funghi, ma poiché, per certe specie, questi eventi si ripetono periodicamente, è ragionevole ritenere che sia probabile una responsabilità dei miceti, per ragioni in parte ancora non note ed in parte invece legate a fattori noti (e per alcuni aspetti di seguito descritti).

Tabella 4 – Intossicazioni da FUNGHI NORMALMENTE COMMESTIBILI

Specie responsabile

Numero di persone intossicate

Numero di persone morte

Note

Agrocybe cylindracea

= Agrocybe aegerita

1

0

Amanita caesarea

1

0

Amanita caesarea + Boletus gruppo edulis

2

0

In 1 caso funghi con larve e muffe

Amanita citrina

1

0

Boletus gruppo edulis

11

0

In 5 casi i funghi erano stati mal conservati, in 1 caso consumati crudi

Pleurotus ostreatus

3

0

In tutti i casi consumato crudo

Totale

19

0


Tra le intossicazioni da funghi “eduli” emerge, sorprendentemente, il numero relativamente elevato di quelle causate da Boletus edulis o specie affine (B. aestivalis, B. pinophilus, B. aereus), cioè i prelibati e ben noti “porcini” (tredici persone colpite nella nostra casistica), che d’altronde sono i funghi maggiormente consumati anche nella nostra provincia, rappresentando quindi il “complesso” di specie di maggior esposizione per i consumatori. L’abitudine diffusa di consumarli crudi in insalata, per godere del bel colore bianco e della carne soda e percepire al meglio l’aroma ed il sapore, espone però il consumatore al rischio di un’intolleranza presente in talune persone nei confronti di tali specie; oltre a ciò si ritiene che gli effetti della carica microbica eventualmente presente sui funghi crudi possa essere stata la causa di alcune di queste intossicazioni. Capita altresì, analizzando il materiale che ha causato l’intossicazione, di rinvenire tra i pezzetti di porcino delle larve d’insetto (che parassitano frequentemente ed abbondantemente queste specie), che costituiscono forse una concausa in alcune intossicazioni determinate da funghi porcini anche perfettamente cotti.


Le intossicazioni da Agrocybe cilindracea (“piopparelli”) possono essere state determinate dal consumo dei gambi di queste specie, che sarebbe bene scartare in quanto coriacei e quindi difficilmente digeribili. Le tre intossicazione da Pleurotus ostreatus (“gelone”) registrate nella nostra casistica sono state dovute al consumo di funghi crudi; in un caso i funghi erano stati acquistati presso un supermercato in confezione chiusa, ove erano presentati tagliati a fettine e conditi con vari odori (da ciò si desume l’importanza che il produttore riporti in etichetta chiare e corrette indicazioni sulle modalità di consumo). Una buona parte delle intossicazioni è stata dovuta a funghi che non è stato possibile (per mancanza di reperti) determinare con esattezza, se non a livello del genere (Tabella 5).

Tabella 5 – Intossicazioni da FUNGHI NON DETERMINATI

Genere responsabile

Numero di persone intossicate

Numero di persone morte

Note

Agaricus sp.

2

0

Clitocybe sp.

1

0

Lepiota sp.

4

0

Lepiota di piccola taglia

Macrolepiota sp.

2

0

Morchella sp.

2

0

Ramaria sp.

1

0

Russula sp.

8

0

In 2 casi cotte in graticola

Non identificato

5

0

Totale

25

0


Tra i generi elencati ve n’è qualcuno (ad es. Lepiota, Agaricus, Clitocybe e Ramaria) che comprende parecchie specie notoriamente tossiche e probabilmente ascrivibili, pertanto, alla Tabella 2); in altri casi (generi Macrolepiota, Morchella e Russula) è più probabile che i disturbi siano stati determinati da errate modalità di preparazione dei funghi, in particolare da insufficiente cottura, come indicato e discusso per le specie delle Tabelle 3 e 4.

Fonte dei dati riportati: relazioni annuali dei Dipartimenti di Sanità Pubblica.

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Funghi autorizzati negli integratori alimentari

Funghi presenti nell’Allegato 1 al DM 9 luglio 2012

“Sostanze e preparati vegetali ammessi negli integratori alimentari”


AGARICUS BLAZEI sporophorum: Naturali difese dell’organismo. Metabolismo dei carboidrati

AURICULARIA AURICULA-JUDAE (BULL.: FR.) WETTST. sporophorum: Naturali difese dell’organismo

AURICULARIA POLYTRICHA sporophorum

BOVISTA PLUMBEA PERS. Sporophorum

COPRINUS COMATUS sporophorum

CORDYCEPS SINENSIS (syn. Paecilomyces hepiali) micelium, sporophorum: Funzionalità delle prime vie respiratorie. Naturali difese dell’organismo. Azione tonica e di sostegno metabolico

FOMES FOMENTARIUS FR. Sporophorum

FOMES IGNARIUS L. sporophorum

GANODERMA LUCIDUM (CURTIS) P. KARST. (RHEISHI) sporophorum: Naturali difese dell’organismo

GRIFOLA FRONDOSA (DICKS.) GRAY (Maitake) sporophorum: Naturali difese dell’organismo.

GRIFOLA UMBELLATA PERS. sporophorum: Naturali difese dell’organismo.

HERICIUM ERINACEUS sporophorum

LASIOSPHAERA GIGANTEA BATCH ex PERS. Sporophorum

LENTINULA EDODES (BERK.) PEGLER (Shitake) sporophorum: Naturali difese dell’organismo.

PLEUROTUS OSTREATUS (JACQ. : FR.) P. KUMM sporophorum

POLYPORUS UMBELLATUS (PERS. : FR.) FR. (syn GRIFOLA UMBELLATA) sporophorum: Naturali difese dell’organismo

TRAMETES SUAVEOLENS FR. sporophorum: Naturali difese dell’organismo

NOTE a cura di N. Sitta

Agaricus blazei: nome da riferire alla specie Agaricus subrufescens Peck (sinonimi: Agaricus rufotegulis Nauta – Agaricus brasiliensis Wasser, M. Didukh, Amazonas & Stamets 2002)

Grifola umbellata = Polyporus umbellatus

Lasiosphaera gigantea = Calvatia gigantea = Langermannia gigantea

 

Micoeditoriale Ottobre 2014

AVVELENAMENTI DA FUNGHI: Storia di una    Trogia venenata

Salve cari lettori della Micomedicina, questa volta, vista la stagione, ci occupiamo di avvelenamenti da funghi, l’aspetto  che più dell’uso come medicinale, che rappresenta il nostro interesse, ha portato invece alla ribalta mediatica (spesso nella cronaca nera) i nostri amati funghi!  Nella sintesi degli articoli (a lato) abbiamo riportato alcune informazioni importanti sulla prevenzione e sull’epidemiologia, evidenziando che in Italia ancora si muore (una decina di casi l’anno) soprattutto per la sindrome falloidea da ingestione di Amanita phalloides e delle Lepiote di piccola taglia (cristata e brunneoincarnata), nonostante gli Ispettorati Micologici presenti in tutte le ASL (unicità mondiale: i micologi nel SSN) e MdS (vedi pubblicazione) impegnati nella prevenzione: con il controllo di quanto raccolto,  informazione e intervento di consulenza agli ospedali in caso di ingestione. Ma questa volta voglio parlare di un’avvelenamento da fungo esotico che è stato la causa della Sindrome della Morte Improvvisa nella regione dello Yunnan (ovest della Cina) con centinaia di morti, dagli anni 70 fino al 2009, che come dice il nome abbatteva repentinamente le persone in buona salute facendole crollare morte spesso mentre passeggiavano o lavoravano nei campi. Il responsabile è stato ritenuto essere il fungo Trogia venenata individuato dopo anni di studi e indagini epidemiologiche nel territorio effettuati dall’agenzia epidemiologica di stato cinese analoga al CDC USA. L’epidemiologia (analisi della mortalità in ambiti familiari)  è stato il fattore chiave che ha consentito di individuare tutte le più recenti sindromi da avvelenamento da funghi, in particolare quelle a lunga incubazione come la Sindrome Orellanica (Cortinarius orellanus e speciosissimus), anche se, come nel caso Trogia , non c’è ancora concordanza tra gli studiosi sui fattori chiave e i meccanismi, soprattutto sulla base di un’osservazione: molti di quelli che morivano per fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco non avevano avuto disturbi intestinali dopo l’assunzione del fungo che peraltro mangiavano da anni, ipotizzando anche una sorta di resistenza alle tossine da parte di gruppi familiari su una interazione dose dipendente delle 3 tossine ( un acido guanodino butirrico e due aminoacidi acetilenici) che avevano causato la morte improvvisa dei ratti di laboratorio.

1°Articolo; 2°Articolo; 3°Articolo;4°Articolo;5°Articolo;

 

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